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Vangelo di Domenica 27 Settembre 2020

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la volonta del Padre.jpgVangelo di Gesù Cristo secondoMatteo 21,28-32

28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna». 29Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Lectio di don Alessio De Stefano

La parabola, contenuta in questa pericope e caratterizzata dalla descrizione di un’antitetica coppia di fratelli poco inclini a obbedire alla richiesta del padre (vv. 28-30), è accompagnata da un’applicazione immediata che punta all’identificazione esatta del padre e dei suoi due figli (vv. 31-32). Con questa parabola inizia una composizione letteraria e teologica che mette in risalto la resistenza dei capi di Israele nell’accogliere la salvezza. Essa presenta più versioni. I codici più importanti e i Padri della Chiesa riportano prima il dialogo con il figlio che rifiuta e poi si pente e poi con il figlio che accetta e poi disobbedisce. L’ordine viene invertito dal codice Vaticano per identificare con Israele il figlio maggiore che accetta di andare a lavorare ma poi non va, e con i Pagani il figlio minore che rifiuta di andare nella vigna e poi invece, pentitosi, va. Il cuore della parabola però non è l’antitesi tra Israele e i Pagani, ma piuttosto tra una porzione di Israele recalcitrante e una porzione docile.

Tra il dire e il fare (vv. 28- 30) – Gesù introduce il racconto con una domanda che fa leva sull’attenzione dei suoi uditori: Che ve ne pare?. Si parla di un uomo che ha due figli. Il numero dei figli rimanda ad alcune coppie di fratelli nel Primo Testamento: come Caino e Abele ed Esaù e Giacobbe, che portano al loro interno un conflitto e un’antitesi. Dopo l’immagine del fico, appare quella della vigna, altra immagine che richiama lo statuto del popolo di Israele all’interno dell’alleanza con Jhwh: Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele (Is 5,7). Questa è una vigna deliziosa che Dio custodisce, irriga, dalla quale tiene lontani i rovi e con la quale vuole solo stare in pace (Is 27,2-5), una vigna che però da pregiata si è resa degenere (Ger 2,21). Il tema della vigna-Israele è molto caro agli autori del Primo Testamento (Sal 80,15; Is 3,14; 5,1-7; Ger 2,21; 8,13; 12,10) e viene trattato molto spesso nel primo Vangelo (Mt 20,1-16; 21,33-46). La parabola ci narra che proprietario di questa vigna è un padre che ha due figli ai quali chiede di andare a lavorare nella vigna.La richiesta mostra il disagio dei figli che mentono entrambi al padre, mancando così di rispetto nei suoi confronti. Tuttavia le loro azioni hanno conseguenze differenti: uno si mostra ribelle ma alla fine cambia idea, va nella vigna e si mette all’opera; l’altro si presta volentieri al lavoro, ma non mantiene la promessa e disobbedisce. Gesù, a questo punto interroga i suoi interlocutori, chiedendo chi abbia fatto la volontà del padre e la risposta è corale: il primo, che si è pentito. 

Il cuore della parabola: la docilità dei peccatori alla conversione (vv. 31b-32) - Segue poi al v. 31b l’applicazione: pubblicani e prostitute, i peccatori della peggior specie, passano avanti gli uomini religiosi perché, diversamente da loro, hanno creduto all’opera di Giovanni. Il padre di questa parabola rappresenta Dio; il primo figlio è figura dei peccatori che dopo la resistenza iniziale decidono di cambiare idea e di obbedire; mentre il secondo figlio rappresenta le autorità religiose giudaiche che dicono di curare la vigna ma non lo fanno. Gesù elogia quegli uomini e quelle donne che, pur se peccatori, hanno saputo riconoscere in Giovanni “la via della giustizia” (dove giustizia dice conformità alla Parola/Volontàdi Dio), cioè una missione conforme all’opera di Dio, e si sono convertiti. Rimprovera invece i presunti giusti che non hanno saputo discernere l’opera di Dio in Giovanni e che, nemmeno dinanzi alla conversione dei peccatori, hanno cambiato mentalità. Non basta dirsi giusti a parole e nascondersi dietro a titoli, apparenze e formalismi: occorre un cuore capace di ascoltare e di cambiare per accogliere la novità di Dio.