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Vangelo di domenica 7 Novembre 2021

Obolo-della-vedova.jpgVangelo di Gesù Cristo secondo Marco 12,38-44

38 E nel suo insegnamento diceva: Guardatevi dagli scribi, che amano andare in giro in lunghe vesti, 39 e saluti sulle piazze, e primi posti nelle sinagoghe, e i primi divani nei banchetti, 40 i quali divorano le case delle vedove, e per ostentazione pregano a lungo. Costoro si prenderanno più grave condanna. 41 E, seduto davanti al gazofilacio, osservava come la folla getta monete nel gazofilacio; e molti ricchi gettavano molto. 42 E, venendo, sola una vedova povera gettò due spiccioli, che fanno un quadrante. 43 E, chiamati innanzi i suoi discepoli, disse loro: Amen vi dico: Questa povera vedova ha gettato più di tutti quelli che gettano nel gazofilacio. 44 Infatti tutti gettarono dal loro superfluo. Ma costei, dalla sua miseria, gettò tutto quanto aveva, tutta intera la sua vita.

Lectio di don Alessio De Stefano

«Guardatevi dagli scribi» (vv. 38-40) - Tra gli scribi, infatti, denuncia Gesù, è consuetudine fare sfoggio del proprio status, pretendere riverenza e ossequio dalla popolazione, ricoprire posti e posizioni d’onore: essi cercano di essere a tutti i costi i “primi” (vogliono i primi scranni e i primi seggi), e questo li colloca già per il lettore in una linea ben contraria alla vera sequela di Gesù, che ha ripetutamente invitato i suoi ad essere ultimi e a servire l’altro piuttosto che garantire se stessi. Ma il gesto più miserabile e riprovevole essi lo com­piono proprio verso coloro che dovrebbero tutelare in nome della fedeltà a quella Torah che dichiarano di rispettare, co­noscere e amare sopra ogni cosa: essi, infatti, divorano le case delle vedove; mentre tutta la tradizione mosaica, profetica e sapienziale individua le vedove come i soggetti più indifesi, che vanno tutelati sopra ogni cosa e sono oggetto privilegiato dell’amore e della protezione di Dio (cf, ad esempio, Es 22,21- 24; Is 1,17 e Sal 146,9), essi, invece, ne fanno bottino e questo fa della loro preghiera una preghiera finta, inautentica, di pura apparenza. Tale falsità, però, sarà duramente ripagata nel futuro del giudizio di Dio. Proprio il riferimento al loro atteggiamento nei confronti delle vedove crea il collegamen­to più idoneo all’episodio seguente, che ha per protagonista una povera donna, unico personaggio femminile all’interno di una sequenza che è stata interamente dominata dal potere e dall’arroganza maschile. Ma da quella donna dovranno imparare tutti.

La vedova povera (vv. 41-44) - Gesù, infatti, si colloca di fronte al tesoro del tempio e osserva con attenzione le offerte che le persone vi fanno. Ora, l’esibizionismo descritto poco prima nelle pratiche religiose degli scribi ricompare come tratto peculiare anche dei ricchi, molti, che gettano molto. A dispetto di ciò (e senza sembrarne intimorita), una povera vedova (la vedovanza e la povertà si rinforzano reciproca­mente nell’indicarne l’indigenza e il bisogno) avanza e vi get­ta due monetine, che (il narratore spiega) sono l’equivalente di un soldo, ossia di una cifra piccolissima. Il contrasto non potrebbe essere più netto e definito: il numero, la condizio­ne sociale, il genere, l’offerta. La sincerità o insincerità dei gesti si inferisce dopo, dal commento di Gesù; ma l’aspetto più significativo, per i discepoli di allora e di sempre, è che Gesù chiami a sé i suoi con la modalità tipica degli insegna­menti importanti (v. 43: «Chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro...») e inizi il suo commento a quanto osservato con la formula solenne dell’Amén légo ymin.

Le sue parole, dunque, sono la chiave di lettura di quello che abbiamo visto e anche la chiusa più profonda di tutti gli insegnamenti nel tempio (dal quale in 13,1 uscirà definitivamente) e ribaltano ancora una volta le apparenze (cf episodio precedente), i sistemi va­loriali, il tanto e il poco, il grande e il piccolo: le due monetine diventano più di tutto quanto gettato dagli altri; il molto dei molti ricchi diventa il superfluo; il poco dell’unica povera diventa l’essenziale, la vita stessa. E così, colei che doveva necessitare di protezione perché indifesa e senza mezzi di sostentamento diventa modello di una fede e di una capacità di affidamento autentiche e sincere, mentre coloro che pretendevano di insegnarle o darle qualcosa devono riceverne una lezione sferzante e molto dura. Sebbene i personaggi femminili di questo vangelo siano davvero pochi, prevalentemente anonimi e coprano per lo più lo spazio di una scena, come in questo caso (a parte l’assoluta eccezione di Erodiade e Salomè nel richiamo alla morte di Giovanni Battista), essi sono sempre esemplari (e provocatoriamente esemplari) rispetto a un mondo maschile, potente, presuntuosamente sapiente e in verità molto lontano dal regno di Dio. L’emorroissa, la madre sìro-fenìcìa, ora la povera vedova; poi ci saranno la donna di Betania e le discepole galilaiche. Non perfette, anche in parte fallibili, ma capaci di cogliere il senso profondo, il momento opportuno, e creatrici di gesti reali e intimamente connessi alla natura del regno; e, ancora, sempre in forte antitesi con il potere, maschio, tronfio e ar­rogante, sia quello politico e sociale del tempo sia quello più nascosto che cerca di affermarsi già nella Chiesa nascente. Una povera vedova chiude, dunque, con la sua involontaria esemplarità un capitolo in cui sono stati zittiti e ridimen­sionati tutti i rappresentanti della nomenclatura religiosa di Israele, i detentori della verità: ella, infatti, dona “tutta la sua vita”, tutto quanto aveva per vivere, tutta se stessa, sapendo che da Dio lo ha ricevuto e a Dio tutto fa ritorno. Il superfluo non le ha obnubilato la mente né il cuore, perché l’esperienza della povertà e della vedovanza le ha insegnato a riconoscere l’essenziale, a riconoscersi bisognosa, ad affidarsi totalmente a Dio.

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