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HA ANCORA UN SENSO FESTEGGIARE IL 1° MAGGIO ?

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primo maggio.jpgQuanti oggi possono festeggiare ? Quanti hanno l’animo di festeggiare ? Eppure oggi si fa memoria istituzionalizzata del sacrificio e del martirio di migliaia di lavoratori, che hanno pagato con la discriminazione, il carcere, la morte la rivendicazione del diritto di ogni cittadino ad avere un lavoro e di un lavoro dignitoso per orario, condizioni, salario. Perché il lavoro non è una merce. Il lavoro è un valore che produce valori. Il lavoro è un valore umano. Un valore del lavoratore. In ciò che realizza il lavorato- re manifesta e realizza se stesso, la sua intelligenza, la sua creatività, il suo vissuto, la sua natura umana. Perché il lavoratore è sempre un cittadino, una persona, un “fine in sé”, che ha parità di diritti-doveri ed è uguale a qualsiasi uomo-cittadino-persona-fine in sé. Queste espressioni grondano sofferenze e sangue, sono il risultato di dure conquiste e, in Italia, soltanto nel 1948 hanno ottenuto un riconoscimento in una serie di articoli della nostra Carta costituzionale, che, con il referendum del 4 dicembre u. s., la stragrande maggioranza del popolo italiano ha riconfermato nella sua vitale attualità, “resistendo” al maldestro tentativo autoritario di stravolgerla da parte del PDR.
- “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…” (art. 1), il lavoro è il fondamento della Repubblica.
- “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (art. 4), perché il lavoro è uno dei diritti inviolabili dell’uomo-cittadino (art. 2), il cui godimento garantisce l’eguaglianza non solo giuridica ma anche economico-sociale.
- Anzi “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’ organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3).
- “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni…” (art. 35), assicurando al lavoratore: il “diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro…” (art. 36), alla donna lavoratrice “gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore…” (art.37), ai cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere e ai cittadini in condizioni “di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” anche “il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale” (art. 38), il diritto di associazione in organizzazioni sindacali che “hanno personalità giuridica” e compiti di rappresentanza dei cittadini-lavoratori (art. 39), la tutela dei diritti dei cittadini-lavoratori attraverso “il diritto di sciopero…” (art. 40), il riconoscimento che l’iniziativa economica privata e libera non si possa svolgere “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla dignità umana…” (R. 41) e che “la proprietà privata” deve avere una “funzione sociale”, il fine dell’ “utilità generale” e del “carattere di preminente interesse generale” (artt. 42 e 43) e di bene comune.
Alla distanza di 69 anni, i suddetti articoli della “Costituzione economica” sono ancora considerati dall’attuale classe politica dirigente non di valore “normativo”, ossia “tassativo” e obbligatorio, e quindi “fondanti”, quali erano nelle intenzioni dei Padri costituenti, ma astrattamente programmatici: continuano ad avere “una loro interpretazione come meri enunciati programmatici da confinare in una specie di preambolo” (Giuseppe Dossetti). Viceversa, nonostante ciò che pensa e opera la “casta”, il lavoro resta un diritto sostanziale e sociale negato, un diritto costituzionale, come il diritto ad una giustizia rapida e uguale per tutti; come il diritto alla salute e alla vita ecc. Senza il lavoro-valore mancano al cittadino i mezzi per vivere, mancano le condizioni per essere veramente libero e per esercitare una dignità fiera e autonoma. Senza il lavoro c’è l’abiezione fisica e morale; c’è la marginalità e la deriva sociale; c’è la negazione dell’uomo; c’è la fine dell’ uomo. “Il diritto al lavoro non può essere messo in discussione da nessuno, nemmeno dallo Stato”.
Di fronte al reiterato diniego di questo “ceto politico e dirigente", sempre più autoreferenziale, sempre più distante dai bisogni e dalle speranze della gente, sempre più ostinato a tutelare i  propri privilegi e quelli dei potenti e prepotenti, al cittadino, singolo e associato, non resta che la resistenza e la reattività mediante la partecipazione diretta e responsabile alla vita sociale e politica, mediante la riappropriazione della sua “sovranità, che appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1).
Perciò, è ancora attuale fare memoria del 1° MAGGIO, ma una memoria fatta di consapevolezza che il lavoro è un diritto di ogni uomo-cittadino e che è un dovere per lo Stato se vuole recuperare credibilità e autorevolezza, una memoria che impegna ognuno di noi a non dimettersi da cittadino, a partecipare alla vita della propria comunità civile di appartenenza, a fare la propria parte nella convinzione-speranza che cambiare è possibile.

BUON 1° MAGGIO 2017 ai lavoratori, a chi il lavoro continua a cercarlo, a cercarlo in terre lontane, a chi il lavoro l’ha perso o rischia di perderlo, a chi vive di lavoro precario o mal retribuito, a chi cerca un agognato lavoro che gli dia dignità e libertà, a chi ha perso la speranza e vive nella rassegnazione e nella disperazione per il lavoro mancato, a chi non si dà per vinto, a chi sceglie di resistere e reagire e operare in questa nostra terra con coraggio civico, coerenza, onestà, a chi è credibile testimonianza di speranza per quanti ancora credono in una società più giusta e liberante. Buon 1° maggio a tutti.
franco-filareto.jpgFrancesco Filareto
Coordinatore A.N.P.I. Rossano

PS: Condividiamo in toto il pensiero del prof. Filareto, e lo facciamo nostro (La redazione)