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Un’ora di lezione può cambiare la vita

l_ora_di_lezione_libro.jpgDa qualche anno, per motivi di quiescenza, non sono più parte attiva nella scuola, ma non per questo la mia identità sociale di docente viene obliterata. A tutto il popolo della scuola voglio proporre la lettura di questo bel libro di Massimo Recalcati dove l’enfasi sulla relazione fa aggio sull’istruzione, o meglio l’apprendimento si sostiene, è condizionato in modo decisivo dalla qualità della relazione studente-docente. Auguro a tutti buon lavoro e che la scuola continui ad essere luogo di crescita umana, intellettuale e presidio di democrazia.

Massimo Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento. Einaudi 2014

“Non respira, non conta più nulla, arranca, è povera, marginalizzata, i suoi edifici crollano, i suoi insegnanti sono umiliati, frustrati, scherniti, i suoi alunni non studiano, sono distratti o violenti, difesi dalle loro famiglie, capricciosi e scurrili, la sua nobile tradizione è decaduta senza scampo. E’ delusa, afflitta, depressa, non riconosciuta, colpevolizzata, ignorata, violentata dai nostri governanti che hanno cinicamente tagliato le sue risorse e non credono più nell’importanza della cultura e della formazione che essa deve difendere e trasmettere. E’già morta? E’ancora viva? Sopravvive? Serve ancora a qualcosa oppure è destinata a essere un residuo di un tempo ormai esaurito? E’ questo il ritratto smarrito della nostra Scuola”

Nell’epoca dell’indebolimento generalizzato di ogni autorità simbolica è ancora possibile una parola degna di rispetto? Si domanda Recalcati, uno dei più noti psicoanalisti italiani, La tesi principale di questo libro è che quel che resta della Scuola è la funzione insostituibile dell’insegnante. Questa funzione è quella di aprire il soggetto alla cultura come luogo di “umanizzazione della vita”, è quella di rendere possibile l’incontro con la dimensione erotica del sapere. Non si tratta di tecnica né di metodo. Lo stile è il rapporto che l’insegnante sa stabilire con ciò che insegna a partire dalla singolarità della sua esistenza e del suo desiderio di sapere. Il vero cuore della Scuola è fatto di ore di lezione che possono essere avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde. Perché quello che resta della Scuola è la bellezza dell’ora di lezione che può sempre aprire un mondo, può sempre essere il tempo di un vero incontro. Se tutto sospinge i nostri giovani verso l’assenza di mondo o verso la coltivazione di mondi isolati (tecnologici, virtuali), la Scuola è ancora ciò che salvaguarda l’umano, l’incontro, le relazioni, gli scambi, le amicizie, le scoperte intellettuali, l’eros. Un bravo insegnante non è forse quello che sa fare esistere nuovi mondi? Non è quello che crede che un’ora di lezione possa cambiare la vita?

Il nuovo volto della scuola

La Scuola neoliberale esalta l’acquisizione delle competenze e il primato del fare, e sopprime, o relega in un angolo ogni forma di sapere non legato con evidenza al dominio pragmatico di una produttività concepita in termini solo economicistici. Garantire l’efficienza della performance cognitiva è diventata un’esigenza prioritaria che risucchia le nicchie necessarie del tempo morto, della pausa, della deviazione, dello sbandamento, del fallimento, della crisi, che invece, come sanno bene non solo gli psicoanalisti, costituiscono il cuore di ogni autentico processo di formazione.

L’importanza di questa trasformazione non deve sfuggire:non è più la Scuola a essere fascista e autoritaria, strumento asservito a un potere che sorveglia sulla riproduzione di se stesso, ma è il discorso sociale che assomiglia sempre più a un totalitarismo soft, narcotizzante o eccitante, che riduce il pensiero critico sfruttando la funzione ipnotica esercitata dagli oggetti di godimento che hanno invaso le vite dei nostri giovani.

Il passaggio dalla conflittualità (’68 e ’77) alla specularità coincide con il passaggio dalla connotazione solidamente gerarchica all’orizzontalità liquida, dove è sempre più difficile la differenziazione simbolica dei ruoli. Sullo sfondo, lo sfaldamento generazionale tra insegnanti e genitori. I genitori si alleano con i figli e lasciano gli insegnanti nella più totale solitudine, a rappresentare quel che resta della differenza generazionale e del compito educativo. I genitori sembrano più impegnati ad abbattere gli ostacoli che mettono alla prova i loro figli per garantire loro un successo senza traumi; i voti considerati ingiusti dai figli mobilitano le proteste accorate dei genitori, la parola smarrisce ogni peso simbolico e viene sopraffatta da una cultura delle immagini, che tende a favorire un’acquisizione passiva e senza sforzo.

I nostri figli sono intrappolati in una specularità che annulla la differenza. Il vuoto , la mancanza di sapere, non sono custoditi come dovrebbero: i nuovi figli vengono a sapere tutto dei loro genitori non c’è velo, dissimmetria, perché viene elusa la dimensione simbolica della differenza generazionale. Gli spigoli anche traumatici della differenza generazionale vengono smussati nel nome di un diritto di eguaglianza che in realtà abolisce la responsabilità degli adulti a sostenere il loro ruolo nel processo formativo dei figli.

La stessa logica investe la Suola. Gli insegnanti faticano a incarnare la dissimmetria simbolica che implica la loro posizione. Il fenomeno più rilevante e preoccupante, a detta di Recalcati, è che in questo contesto la parola perde peso e viene ridotta a un suono privo di senso. La crisi della scuola coincide in tal senso con una crisi più profonda della parola. Una cattiva retorica pedagogica sostiene la necessità infinita del dialogo: si può dire e parlare di tutto senza alcun limite. Ma è proprio in questo carrozzone impazzito di una parola svuotata di senso, che viene meno la parola. Quale? Quella che stabilisce una relazione stretta tra il dire e le sue conseguenze. La parola non è mai solo una parola, perché trasforma, plasma, genera la vita. La recisione di questo legame dà luogo a una versione della trasmissione del sapere che esclude la critica ed esige l’assimilazione e la performance. La stessa dimensione dell’esperienza è totalmente evasa da un sapere sempre a disposizione, che di fatto, genera anoressie mentali, rigetto della ricerca del sapere nel nome di un’acquisizione senza sforzo. Anche per questo gli insegnanti non appaiono più come i depositari dell’autorità simbolica della tradizione, ma sono sospinti verso la contraddizione di subire una proletarizzazione economica e sociale drammatica e per un altro verso, di essere investiti di un ruolo educativo sempre più ampio di fronte a famiglie sempre più in crisi nell’esercitarne la potestà.

Per questa ragione occorre che gli insegnanti provino a tradurre l’iperattività o il deficit di apprendimento, la noia o la frivolezza senza responsabilità, come se fossero interrogazioni inconsce rivolte al sapere, rivolte a ciò che l’insegnante incarna. Si tratta di provare a trasformare l’impasse in un punto di rilancio, di rinnovamento.

II. Tacere l’amore

In questa citazione di Lacan si chiarisce la differenza tra il gesto del maestro che sa mettere in moto il desiderio dell’allievo e l’atto padronale della seduzione e dell’indottrinamento.

Chi vi parla è nella psicoanalisi da abbastanza tempo ormai per poter dire che ben presto avrà passato metà della sua vita ad ascoltare vite che si raccontano, che si confidano. Ascolta. Ascolto. Non ho alcun titolo per misurare il valore delle vite che da quasi quattro settenari ascolto confidarsi davanti a me. Io ascolto. E uno degli scopi del silenzio che costituisce la regola del mio ascolto è proprio quello di ” tacere l’amore”.

Il dono più grande del maestro, chiosa Recalcati, non è il dono del sapere ma quello di “tacere l’amore”. Questo dono è il più prezioso perché non vincola l’allievo ad alcuna obbedienza, ma lo lascia libero di andarsene, di separarsi dal maestro.

Se il maestro non sa tacere il proprio amore, rischia di esigere, volontariamente o meno, che l’allievo segua le sue orme, che diventi ciò che lui si attende. Solo saper tacere l’amore può svuotare il luogo dell’Altro di ogni attesa e permettere al soggetto di incamminarsi per la propria via.

III. Il trauma positivo della scuola

La Scuola in quanto Scuola dell’obbligo uccide fatalmente l’istanza del desiderio. Affinché possa esistere il desiderio è necessario uno spazio che separi il soggetto dalla domanda dell’Altro. Quando questo spazio manca, il soggetto può reagire difendendo il proprio desiderio minacciato dalla invasività dell’Altro , come accade , per esempio nell’anoressia. Come si può fare sorgere il desiderio – il desiderio di sapere – quando l’apprendimento del sapere deve essere obbligatorio? Come non rendere l’obbligatorietà un parassita mortale del sapere? Come, in ultima istanza, intrecciare il desiderio alla legge? Si domanda Recalcati. Affinché possa esistere desiderio di sapere, ma anche formazione, educazione, “umanizzazione della vita”, è necessario la rottura traumatica dell’adesione degli allievi ad una serie infinita di oggetti inumani: alcol, droga, psicofarmaci, l’immagine del proprio corpo, oggetti estetici e tecnologici più vari. In questo senso la Scuola dell’obbligo è un luogo oggi sempre più decisivo di vera prevenzione primaria. La scuola è un’istituzione che incarna un punto di resistenza etico alla cultura perversa del “perché no?” che sottrae ogni senso alla rinuncia e al differimento del soddisfacimento pulsionale. L’obbligo della scuola è benefico perché si sostiene su una promessa che è alla base di ogni processo formativo. E’ la promessa che deve saper fare esistere un godimento più forte, più potente, più grande di quello realizzato perversamente con il consumo immediato. Questo godimento differito si può raggiungere solo attraverso la via della parola e del desiderio: è godimento della lettura, della scrittura, della cultura, dell’azione collettiva, del lavoro, dell’amore, dell’erotismo, dell’incontro, del gioco.

IV Il libro diventa un corpo

Il lavoro dell’insegnante è uno dei lavori più decisivi nella formazione dell’individuo, ma non sapremo mai abbastanza dare il giusto peso a come l’incontro con un insegnante possa davvero cambiare una vita, renderla diversa da prima. E’ questo l’effetto di un incontro con una testimonianza che sa incarnarsi: le stesse cose si imparano a vedere in modo nuovo. La cosiddetta “attività didattica” non può essere schiacciata sulla dimensione meramente cognitiva in opposizione alla funzione valoriale e affettiva dell’educazione. Più radicalmente, nella stessa trasmissione cognitiva del sapere è già in gioco un effetto educativo più ampio. L’essenziale dell’insegnamento consiste nel mobilitare il desiderio di sapere, nel rendere corpo erotico l’oggetto teorico. Ma sapere non significa solo accrescere le conoscenze, ma anche e soprattutto imparare ad aprirsi all’apertura del desiderio, aprire altri mondi rispetto a quelli già conosciuti. Per questo l’erotica non può mai essere situata in alternativa alla didattica. Di più la didattica autentica è sempre attraversata dal corpo, avendo come meta più alta la trasformazione degli oggetti del sapere in corpi erotici. Questa trasformazione non avviene come cancellazione della routine imposta dalla vita dell’istituzione scolastica, ma come evento che vi fa irruzione. Attraverso la parola dell’insegnante, gli oggetti del sapere vengono trasfigurati in oggetti erotici. I libri diventano corpi in movimento. Ecco il miracolo della lezione! Trasportare il desiderio, mettere in moto, decentrare la visione. Allora il libro acquisisce un vero e proprio corpo.

Questa prima sublimazione – il libro che viene elevato alla dignità di un corpo erotico – ne rende possibile una seconda, ancora più decisiva, che accompagna le grandi e straordinarie trasformazioni dell’adolescenza. E’ il momento in cui è il corpo che diventa un libro. E’ un corpo che non ci si stanca mai di leggere e di divorare: corpo fatto di pagine e di scrittura. Doppia trasformazione dunque: la lezione genera corpi erotici dagli oggetti del sapere, ma il suo effetto si prolunga al di là del sapere generando libri dai corpi, trasformando il corpo dell’amata in un libro. E in questa trasformazione trova posto l’amore come ammirazione per il mondo dell’Altro. La possibilità che il corpo diventi un libro coincide, infatti, con la possibilità dell’amore che, in fondo, è il nome più alto dell’incontro, in quanto ogni incontro degno di questo nome è sempre un incontro d’amore. Spiegare , allora, una poesia di Montale, le leggi della termodinamica, la deriva dei continenti, la bellezza formale di un’operazione di matematica, non è mai semplicemente istruire, trasmettere asetticamente contenuti da un recipiente a un altro, ma è riuscire a mantenere vivi gli oggetti del sapere generando quel trasporto amoroso ed erotico verso la cultura che costituisce il più potente antidoto per non smarrirsi nella vita.

Il gesto del maestro – a qualunque livello si esprima, dalla scuola elementare sino all’università -, agisce allargando l’orizzonte del mondo, trasporta la vita altrove, al di là del già visto e del già conosciuto, la educa nel senso etimologico più radicale: essere sospinti, portati via, condotti oltre sino a divergere da ogni sentiero già tracciato. In questo senso la Scuola eredita il dono del linguaggio, se il linguaggio è quel dono che sa allargare gli orizzonti del mondo. Come avviene? Esiste una e solo una condizione perché questo possa avvenire e riguarda il modo, lo stile, col quale un insegnante entra lui stesso in rapporto con ciò che insegna. E’ solo l’amore – l’eros – col quale un insegnante investe il sapere a rendere quel sapere degno di interesse per i suoi allievi, a renderlo un oggetto capace di causare desiderio. La trasmissione del sapere, in definitiva, avviene solo per contagio, per testimonianza.

Giuseppe Costantino

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