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Vangelo di domenica 2 Ottobre 2022

LC 17, 1-6 .jpgVangelo di Gesù Cristo secondo Luca 17,5-10

5 E gli apostoli dissero al Signore: Aggiungici fede. 6 Ora disse il Signore: Se aveste fede come un chicco di senape, direste a questo gelso: sradicati e piantati nel mare! e vi obbedirebbe. 7 Ora chi di voi, avendo uno schiavo che ara o che pascola, tornato dal campo, gli dirà: Subito passa e sdraiati! 8 ma non gli dirà: Preparami di che cenare e, cinto, servimi, finché mangio e bevo e, dopo questo, mangerai e berrai tu! 9 Ha grazia per lo schiavo perché fece ciò che fu comandato? 10 Così anche voi, quando avete fatto tutto ciò che vi fu comandato, dite: Siamo semplicemente schiavi: ciò che dovevamo fare, l’abbiamo fatto.

Lectio di don Alessio De Stefano

Vv 5-6. Per poter perdonare sette volte al giorno a un fratello che sette volte torna a chiedere perdono, non serve una “disci­plina”, ci vuole pazienza e fede, intesa come potenza di vita in comunione col Cristo, e perciò gli apostoli chiedono un sup­plemento di fede: “Accresci la nostra fede!” (v. 6). La risposta riferisce certamente qualcosa dell’insegnamento di Gesù; è una di quelle parole che fanno colpo e segnano per sempre la vita di chi le ascolta. Ma è conosciuta nella tradizione sotto due forme: una parla di un albero che si sradicherebbe e andrebbe a finire nel mare (cf. v. 5; Mt 21,21), l’altra invece di un monte (cf. Mc 11,22-23; Mt 17,20).

Il detto contiene diversi paradossi. Vi è quello relativo alla dimensione della fede: un granello di sena­pe è davvero minuscolo; Gesù aveva già giocato sulla piccolezza di quel seme rispetto all’albero al quale dà vita, per evocare ciò che avviene con il regno di Dio (cf. 13,19). Qui la piccolezza gioca con la straordinarietà di ciò che capita al gelso. Vi è poi il paradosso del gelso che, anziché stare saggiamente al suo po­sto, si sradica da sé, e quello espresso dal verbo “obbedire”, che non è abituale associare a un albero. Infine anche il luogo do­ve il gelso va a trapiantarsi è paradossale: non solo il mare non è un terreno dove possano crescere delle piante, ma è salato... A cosa punta questo detto?

La piccolezza del seme è certamen­te importante: basta un principio, anche minimo, di fede nel cuore umano perché possa operare efficacemente; non è quindi necessario chiedere un supplemento di fede. Il problema non è la quantità, ma la qualità: “Se avete fede, così come la intendo io, cioè pronta a perdonare sempre, potrete fare questo e anche ben altro”. È inoltre importante, questa volta dal punto di vi­sta letterario e narrativo, che il gelso “obbedisca” e si trapianti nel “mare”. Queste parole richiamano la prima, la parabola del servo inutile che ha fatto ciò che gli era stato ordinato (vv. 7-10), e la seconda, il mare dove sarebbe meglio che vada colui che provoca scandali (v. 2). Questo detto è così quello che dà unità all’insieme di questo paragrafo.vv. 7-10. A una prima lettura questa parabola ci urta pro­fondamente: com’è possibile che venga detto “inutile” quello schiavo che fa vivere il suo padrone, lavora per lui, gli prepara il cibo, apparecchia la tavola, lo accudisce e lo serve perché possa mangiare? Vero è che quel servo ha fatto ciò che gli era prescritto e che doveva fare; data la condizione degli schiavi in quel tempo, che certamente non è messa in discussione, né lo schiavo, né il lettore si aspettano che il padrone dica allo schiavo tornato dal campo: “Vieni subito a mangiare!”, o gli esprima gratitudine. Sarebbe un rovesciamento dell’ordine stabilito inimmaginabile. Allora, cosa vuole insegnare Gesù con questa parola?

Occorre notare che, nella parabola, lo schiavo non è detto “inutile”: il padrone non lo considera tale, né egli stesso si ritiene tale, e neppure il narratore! È fuori parabola che Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli, conclude: “Quando avete fatto tutto ciò che vi era stato ordinato, dite: ‘Schiavi inutili siamo, ciò che doveva­mo fare, l’abbiamo fatto”’ (v. 10). Nessuno, nemmeno Dio, ci chiama “servi inutili”, ma Gesù ci invita a considerarci tali; è un invito alla santa umiltà. Fuori parabola infatti, siamo servi di Dio e la nostra relazione con Dio non appartiene al campo dell’utile, ma a quello della grazia: per Dio siamo “inu­tili”, perché ci ama “per grazia”! E la nostra azione, la nostra obbedienza, è la nostra gratitudine per l’amore con il quale egli ci ha amati. Amore nel quale oggi crediamo, e che si rivelerà in piena luce nell’era messianica, proprio con il rovesciamento degli statuti: il Signore stesso si cingerà per servirci. In realtà è già ciò che ha fatto e ciò che fa, come lo manifestano la vita di Gesù, il suo insegnamento (cf. Mc 10,45 o Lc 22,27; cf. anche Gv13,1-20) e la sua croce.