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2 giugno. Il voto alle donne.

referendum_1946.jpgIl primo voto alle donne lo si fa risalire al referendum del 2 giugno del 1946, ma in realtà le donne avevano incominciato a votare già in occasione delle elezioni amministrative che si erano tenute in alcune città italiane nella primavera di quell’anno.

La storia di questa conquista ha avuto inizio con la nascita dello Stato italiano.

Il nuovo stato, che aveva esteso a tutto il territorio nazionale il Codice Albertino, poneva le donne sotto la “tutela maritale” per l’esercizio dei diritti di proprietà, e poiché nell’800 il voto era basato sul censo, alle donne veniva negato l’esercizio di tale diritto. L’”autorizzazione maritale” per ogni atto patrimoniale ribadita nel nuovo Codice civile italiano del 1865, finiva per cancellare il diritto di voto amministrativo che era riconosciuto alle donne in alcuni stati preunitari a legislazione austriaca (Lombardia, Toscana e Veneto).

Già nel 1861 alcune donne lombarde avanzano la richiesta di estendere a tutte le donne del Regno i diritti di cui esse godevano prima dell’unificazione. “Le sottoscritte, Cittadine Italiane, fanno al Parlamento rispettosa istanza, affinché nella compilazione del nuovo Codice civile italiano, alle donne di tutte le province vengano estesi i diritti riconosciuti fino ad oggi nelle donne Lombarde”.

Ma chi animò più di tutti il dibattito per il Codice del 1865 fu Anna Maria Mozzoni, che nell’ambito del movimento mazziniano aveva legato in un’unica battaglia diritti civili e sociali, rivendicando per le donne libertà, istruzione, lavoro e diritto al voto.

La Mozzoni criticava il Codice civile del 1865 e, nel 1877, contando sulla sinistra al governo, rivolse al Parlamento una petizione per il voto politico alle donne e l’abolizione della tutela maritale. Si appella a“Il presidente del consiglio dei Ministri nel suo programma di Governo, il quale ebbe efficacia di commuovere a speranza tutti gli italiani, stigmatizzò alcune leggi che basandosi sopra nude persecuzioni legali infirmano la realtà…….. voglia considerarci nei nostri soli rapporti con lo Stato, riguardarci per quello che siamo veramente: cittadine, contribuenti e capaci, epperò non passibili, davanti al diritto di voto, che di quelle limitazioni che sono o verranno sancite per gli altri elettori.”

A far sue le richieste della Mozzoni fu il deputato repubblicano Salvatore Morelli che presentò diversi disegni di legge finalizzati all’uguaglianza tra i sessi. Morelli chiedeva diritti civili e sociali, istruzione e lavoro, ma ottenne solo il riconoscimento del diritto alle donne di testimoniare negli atti pubblici e privati.

Nel 1880 la sinistra avanzò una nuova proposta per il voto amministrativo alle donne, ma Zanardelli intervenne per sottolineare il carattere maschile del voto e la missione della donna esclusivamente nella famiglia. Nel 1888 ne venne bocciata un’altra di proposta, e Francesco Crispi così motivò il suo rifiuto al voto femminile:”La donna è troppo sacra per gettarla nel fuoco della pubblica amministrazione”

Dopo le ripetute bocciature delle proposte di legge, nascono nelle maggiori città italiane i primi “Comitati pro voto”. La prima associazione a favore del riscatto femminile era stata costituita dalla Mozzoni nel 1881: “La lega promotrice degli interessi femminili” e nel 1992:”Alleanza femminile”. Si svolgeranno in varie città italiane i Congressi Suffragisti: a Roma nel 1911,a Torino nel 1912, fino al Congresso Nazionale Pro-suffragio a Roma nel 1914.

All’inizio del ‘900 erano cominciate le prime divisioni all’interno del movimento delle donne: da un lato chi, come la Mozzoni, che rivendicava i diritti civili, individuali, e dall’altro Anna Kuliscioff all’interno del Partito Socialista contro il compagno Filippo Turati, che legava l’arretratezza delle donne alle condizioni economiche e sociali.

A conclusione della prima guerra mondiale il movimento suffragista considerava la conquista del voto come una ricompensa dovuta alle donne per essersi sostituite agli uomini in guerra in tutti i luoghi di lavoro.

Fu così che nel 1919 il Parlamento approvò la legge che aboliva l’autorizzazione maritale e per la prima volta ammetteva le donne ai pubblici uffici e alle professioni. Non si fece niente per il voto politico: Nitti rinviò la decisione, sarebbe stata l’ultima occasione prima dell’avvento del fascismo.

Mussolini nel 1925 riconobbe il voto alle donne nelle elezioni amministrative, peccato però che le elezioni amministrative tra il febbraio e il settembre del 1926 vennero abolite e istituito il regime podestarile con i podestà nominati dai prefetti e questi dal governo fascista.

Il fascismo, se nell’ottica dell’incremento demografico, migliora la legislazione per la protezione della maternità e del lavoro femminile, esclude le donne da molte attività pubbliche e private; la sua politica demografica esaltava il ruolo della donna solo in ambito familiare.

Il codice civile, che entra in vigore nel 1942 non si discosta molto da quello del 1865, mentre con il codice penale del 1930 si puniva l’adulterio femminile e istituiva il “delitto d’onore”, cancellato solo nel 1981 con la legge n. 442!

Con la caduta del fascismo e dopo vent’anni di regime , si ripropone la questione del voto alle donne. Il contributo delle donne era stato significativo: 70.000 partecipanti ai Gruppi di Difesa della donna, 35.000 partigiane combattenti, 4.600 arrestate, torturate e condannate, 2750 deportate in Germania, 623 fucilate o cadute in combattimento, 512 commissarie di formazioni partigiane, 16 medaglie d’oro, 17 d’argento.

Le donne hanno conquistato così la legittimità a partecipare alla vita politica dell’Italia liberata dal nazifascismo. Consapevoli del loro ruolo civile e del loro peso, le donne si organizzano per rivendicare la loro partecipazione alla vita politica.

L’UDI (Unione Donne Italiane) e il CIF (Centro Italiano Femminile), nati nel 1944, cercheranno, nonostante l’influenza del loro partiti di riferimento il PCI e la DC, di costruire in modo autonomo una politica delle donne .

La conquista del voto rappresenta il fine principale e unificante di queste organizzazioni. Il 25 ottobre del 1944 si costituisce il Comitato pro Voto che dà vita ad un movimento ed a una campagna per il voto che le donne rivendicano come diritto individuale e non come diritto legato solo al loro ruolo nella famiglia.

Il decreto del 1° febbraio 1945 afferma il diritto di voto alle donne ma non la loro eleggibilità, riconosciuta solo con decreto successivo (10 marzo 1946).

Il 2 giugno 1946 le donne partecipano al referendum sulla scelta istituzionale tra Monarchia e Repubblica ed entrano nell’Assemblea Costituente in 21, pari solo al 3,7% degli eletti. Ecco come ricordava negli anni ‘90 quei giorni una di queste deputate, Teresa Mattei (la più giovane tra le ventuno donne elette alla Costituente, cacciata diciassettenne da tutte le scuole del regno nel 1938 per la fiera opposizione alle leggi razziali e in seguito oppositrice dello stalinismo dentro il Pci) : Oggi, nell’ascoltare la frase molto abituale “…scendere in politica”, provo una sensazione di fastidio, come di una cosa impropria ed ambigua. Nell’ormai lontano 1946, dopo le vicende del fascismo, della guerra, della Resistenza, dopo il primo, faticoso ed entusiasmante lavoro di organizzazione politica per una società finalmente democratica, nessuno di noi avrebbe usato tale espressione. Si poteva semmai parlare di organizzarsi e SALIRE in politica, intendendo quest’ultima non come arena specializzata e riservata ad alcuni, ma come vita e pane quotidiano di ognuno di noi per evitare di cadere in vecchi costumi ed abitudini che avevano prodotto il parlamentarismo ed il conseguente fascismo, la dittatura e la guerra, chiudendo la partecipazione popolare alla gestione reale della cosa pubblica. (-------) Ed io, percorrendo i lunghi corridoi (di Montecitorio), fermata da commessi che, data la mia età e l’aspetto dimesso stentavano a riconoscermi come “onorevole”, mi diressi attraverso il “transatlantico” alla buvette, riservati entrambi ai deputati, per prendere un caffè. Dai capannelli di colleghi si staccò un grosso quanto rumoroso personaggio in abito talare, tale Monsignor Barbieri, che si mescolava disinvoltamente ai parlamentari…….esclamando gioviale “che bella ragazza”, e così giovane! Come ci fa piacere avere finalmente le gonnelle fra noi! venga che le offro io il caffè, mi prese sottobraccio. ..mi svincolai piuttosto rudemente da quella stretta confidenziale, rispondendo tagliente:”Le uniche gonnelle ammesse qui dentro sono le mie, non le Sue!”, e nel silenzio agghiacciante di tutti i colleghi ordinai al banco il mio caffè. Era (anche) questo il nostro “salire in politica”….

Cominciava così la storia della Repubblica italiana, all’interno della quale le donne svolgeranno un ruolo di primo piano, per la loro partecipazione alla costruzione della democrazia e per la realizzazione dei diritti civili e sociali.

Giuseppe Costantino