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Paroloni e paroline. Làmia: mostro cattivo o bella fatina?

Draper herbert -Lamia.jpgFoto: dipinto di Herbert Draper (1863-1920) - Lamia che si libera della pelle di serpente.

Làmia: Mostro femminile della mitologia greca che si credeva divorasse i bambini o ne succhiasse il sangue; strega, megera; ninfa, fata. Dalla voce greca [Làmia] “mostro che si ciba di carne umana; spauracchio per bambini”, passata attraverso il latino [lamia] “creatura mostruosa, strega che mangia i bambini”. Alcuni la vogliono figlia diretta di Poseidone, altri regina della Libia e figlia di Belo: in entrambi i casi, l’unica colpa della bella Lamia fu quella di suscitare l’interesse del più lussurioso degli dei, Zeus. La nascita di vari figli da tale unione accese la rabbia di Era, moglie di Zeus, che di fronte all’ennesimo tradimento decise di vendicarsi massacrando tutti i bambini nati da questo oltraggio (ad eccezione di una, che per alcune tradizioni è la celebre Scilla omerica, per altre la Sibilla ibica). Non contenta, la dea decise di punire ulteriormente la donna condannandola ad una vita senza sonno, privandola della possibilità di chiudere gli occhi.

Sembra che Lamia, sconvolta dal dolore e dalla sete di vendetta, avesse iniziato a rapire i figli delle altre donne e a divorarli, o a berne il sangue, e che si fosse trasformata in un mostro serpentino, con solo il busto e il volto di donna.
Alcuni 
racconti aggiungono che Zeus le concesse, impietosito per la triste sorte della sua amante, la possibilità di togliersi gli occhi durante la notte così da poter dormire.

A partire da tale nucleo mitico originario prende via via forma questa figura che talvolta viene identificata con un’unica Lamia, protagonista delle vicende appena narrate (o di altre versioni delle stesse), talvolta con una generica classe di mostri-vampirole lamie, che si aggirano nella notte succhiando sangue e rapendo bambini.

Con l’avanzare dei secoli, avviene però una lenta e graduale trasformazione semantica di cui Leopardi ci racconta dettagliatamente in una lunga trattazione nel suo Zibaldone.
Egli era interessato a dimostrare come la voce italiana lammia, utilizzata dagli scrittori del Trecento col significato di “ninfa”, non fosse giunta in italiano tramite la letteratura ma piuttosto per via orale, passando attraverso il latino 
volgare e giungendo così all’italiano.
La spiegazione che adduce a sostegno della sua 
tesi è proprio di natura semantica: negli scrittori latini la voce lamia veniva usata esclusivamente col senso negativo – recuperato dalla tradizione greca – di “megera, strega o mostro mangia bambini” mentre negli scrittori del Trecento essa assume il significato tutt’altro che negativo di “ninfa”. Come spiegare tale dissonanza?

Dal momento cioè che nel Medioevo cristiano tutte le creature e le divinità legate alle tradizioni pagane furono degradate a figure maligne e demoniache, accadde allora che la voce popolare con cui si indicava la “strega” venne a sovrapporsi a quella per definire la “ninfa”.
Con il tempo si perse poi la consapevolezza del significato originario della parola, e il risultato finale fu che nella lingua italiana del Trecento — e da lì in tutta la tradizione successiva — la lammia era universalmente e unicamente intesa come una 
bella creatura semidivina che abita boschi e corsi d’acqua.

Spostandoci ancora più avanti nei secoli, scopriamo che a fine Settecento il lessicografo inglese John Lemprière, nel suo dizionario mitologico, recupera l’origine mostruosa della Lamia descrivendola come un mostro metà donna e metà serpente che ammalia gli stranieri con sibili intriganti per poi divorarli.
Sembra che sia stata questa lettura ad aver fornito l’ispirazione al poeta John Keats per la stesura del suo poema omonimo. La sua Lamia non è più però il feroce demone notturno della tradizione antica, bensì una fanciulla che era stata trasformata dagli dèi in serpente e che grazie all’intervento del dio Hermes riesce a recuperare la sua forma umana e a 
convolare a nozze con l’amato Licio. Tuttavia, il giorno del matrimonio l’identità serpentina della ragazza viene svelata e lei sparisce, mentre il giovane sposo muore per il dolore.

Questo curioso viaggio nelle spire della mitologia ci ha guidati alla scoperta di una parola il cui significato è stato variamente trasformato dal tempo e dall’immaginazione degli uomini, mutando e rinnovandosi ciclicamente proprio alla stregua di un serpente con la sua pelle variopinta.

 Andrea Maltoni, dottoressa in filologia

fonte: www.unaparolaalgiorno.it

 

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