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Arte pittorica del '600 napoletano: Scipione Compagno

compagno.jpgScipione Compagno ritrova il "Compagno"

Da anni uno dei più bei quadri di Scipione Compagno raffigurante l'Entrata di Gesù a Gerusalemme (fig.1) costituiva una delle punte di diamante della celebre collezione del noto professionista Achille della Ragione e nel 1998 aveva avuto l'onore di comparire in copertina di un importante libro sulle più importanti raccolte napoletane, ma l'altro giorno ha raggiunto il colmo della gioia quando ha potuto ritrovare il suo pendant (103 - 66), rappresentante Il Trasporto dell'arca dell'alleanza contenente le tavole della legge (fig.2), che, aggiudicato in una accanita asta internazionale, da oggi gli fa compagnia e possono guardarsi a vicenda.
In entrambe le tele è singolare l'identica maniera di costruire la folla dei personaggi, le cui teste, tutte alla stessa altezza, sembrano costituire una linea infinita: ciò crea un significativo carattere distintivo nei confronti di altri lavori del Compagno, nei quali le figure sono disposte nello spazio in maniera confusionaria senza alcun criterio prestabilito.
Entrambi i dipinti furono senza dubbio oggetto di una committenza privata. Erano infatti molto richiesti dai collezionisti episodi evangelici o biblici, che fornivano uno spunto per la creazione di un paesaggio, specialità in cui Scipione era molto abile, ispirato a visioni nordiche, che si rifacevano all'opera di Elsheimer.
Le figurine sono slanciate ed eleganti, con una varietà di atteggiamenti e con una spiccata gestualità che tradiscono una serie di emozioni. Tangibili sono le influenze reciproche con i lavori di Micco Spadaro che, negli stessi anni raggiunse una maggiore notorietà. 
Questo nuovo dipinto, inedito, accresce il già ampio catalogo dell'artista che negli ultimi tempi è stato inquadrato, dopo  le classificazioni del Longhi e del Salerno, in maniera moderna dalla Nappi, che ha distinto la sua personalità da Cornelio Brusco.

arca compagno.jpg Diamo ora qualche notizia sulla biografia dell'artista rinviando chi vuole approfondire l'argomento a consultare un mio saggio  digitandone in rete il titolo: " Scipione Compagno un elegante petit maitre" e potrete godere di decine di foto a colori.
Scipione Compagno nasce secondo lo Zani nel 1624 e muore dopo il 1680, è documentato tra il 1638 ed il 1664. Il De Dominici lo cita come pittore di paesaggi e di marine, una veste nella quale ci è ancora sconosciuto. Egli è influenzato dai modi del Corenzio e di Filippo D’Angeli e mostra inoltre il marchio delle architetture fantastiche del De Nomè, oltre a risentire dell’impronta del Brill e di pittori olandesi come Breenbergh e Polenburgh. Il Causa, dal carattere arcaico delle sue scenografie, aveva ipotizzato che egli appartenesse alla generazione precedente a Micco Spadaro, ma i documenti ed i dati anagrafici scoperti di recente hanno dimostrato che trattasi di pittori coevi.
Ignazio Compagno lavorava nella bottega del fratello Scipione ed era specializzato nelle repliche di soggetti richiesti dalla committenza e, secondo il De Dominici, era particolarmente versato nell’esecuzione delle figure grandi.
Il Salerno ha ipotizzato una sua partecipazione nei quadri del fratello, perché nel catalogo di questi sono presenti quadri di impostazione ed esecuzione diversa, che, se non dipendono da un’evoluzione stilistica dell’artista, possono presupporre l’intervento di un collaboratore.
Anche per il Compagno la massa anonima diventa la protagonista dei suoi quadri nei quali è abile a collocare gran popolo in poco spazio e ad immergere gli avvenimenti in un’atmosfera fantastica e surreale.
Fino agli anni Settanta gli erano riconosciute poche opere, poi il Salerno ritenne di aggiungere al suo corpus tutto il gruppo di dipinti che il Longhi, riconoscendone la stessa mano, aveva attribuito a Filippo Napoletano, di cui allora poco si conosceva. Il folto gruppo di tele fu raccolto intorno ad un grande dipinto firmato e datato”Compagno 1658”.
Nel suo catalogo così ampliato, con l’aggiunta di varie tele firmate, si possono distinguere chiaramente due tendenze, che come abbiamo detto in precedenza hanno fatto ipotizzare la mano di due diversi pittori, una caratterizzata dai colori chiari e dall’esecuzione più accurata, l’altra da un fare sciolto e compendiarlo, con impasti cromatici più sostanziosi e con una tavolozza di colori più scuri, dominata dai toni bruni e terrosi.
Di recente qualche sua tela è stata trasferita nel corpus di Cornelio Brusco, un artista risorto da un oblio secolare grazie alle ricerche della Nappi.
Pochi i documenti di pagamento, pubblicati dal D’Addosio e riferiti al 1641, rare le citazioni inventariali.
Le sue opere di maggior successo furono più volte replicate, spesso su rame ed alcune sono molto suggestive come l’Eruzione del Vesuvio del 1631 del Kunsthistoriches di Vienna, firmata, nella quale oltre all’interesse documentario per un luogo famoso della città di Napoli oggi scomparso, molto ben rappresentata è la folla formicolante in preda al panico, espressa con una vivacità di tocco rara a vedersi negli altri specialisti del genere, come possiamo osservare anche in una replica su tela con numerose varianti, di maggiori dimensioni, conservata nella collezione Costantini a Roma, imperniata sulla famosa processione con in testa San Gennaro per intercedere sulla fine dell’eruzione del 1631 ed eseguita con una pennellata sciolta e sommaria e colori più cupi, al punto che qualche studioso ha ipotizzato il pennello del fratello Ignazio.
La sua produzione anche se inferiore qualitativamente e quantitativamente a quella del Gargiulo, a cui può essere paragonato, esercitò ad ogni modo un influsso su altri pittori tra cui Nicola Viso ed il tedesco Franz Joachim Beich, presente a Napoli all’inizio del Settecento.

 

 

 
 

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