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UN RACCONTO GIALLO ISTRUTTIVO

Gioielli.jpgQuesto mio breve racconto prende le mosse in un affollato bar centrale di una grande città. Un signore, con un elegante impermeabile nero, figlio di un notissimo gioielliere scomparso pochi giorni prima, sta bevendo il suo solito the prima di andare ad aprire il negozio posto a breve distanza. Entra un tizio, guardato, prima distrattamente, dal signore; poi qualcosa nella fisionomia del nuovo arrivato lo colpisce. “Dove ho già visto quella persona?” Pensa l’uomo. Percorre rapidamente tutte le possibili occasioni senza trovare quella cercata. Nota che anche il tizio lo sta guardando. La curiosità vince infine sulla sua discrezione, e si avvicina all’altro chiedendogli direttamente: «Mi scusi, ma per caso ci siamo già visti?». E quello, con un mezzo sorriso, risponde: «Sì, sono tuo fratello.». Nel frattempo un silenzio impiccione è sceso nel bar.

Il signore, con espressione stupita, commenta: «Ma io sono figlio unico!». L’altro, dopo aver bevuto il suo caffè, precisa: «Sei figlio unico di tua madre, ma non di nostro padre, che ebbe a suo tempo un rapporto occasionale, ed a pagamento, con la mia. Dall’evento sono poi nato io. Fatto, quest’ultimo, rimasto sempre ignoto a tutti salvo che al nostro genitore, il quale veniva ogni tanto a trovarci. In una di quelle visite, quando io avevo 11 anni e tu 10, ti condusse con sé: fu allora che ci vedemmo. Ti ho riconosciuto per quella ridicola voglia di fragola che hai sulla guancia sinistra.», concluse con un ghigno.

«Ah ecco, ora mi ricordo di te, proprio per quel tuo grande naso da Cyranò. Ma io nemmeno allora sapevo chi tu fossi. E che cosa ci fai qui?».

«Semplice, caro scemetto, venivo proprio da te, a reclamare la mia parte di eredità.».

Il signore allora, estratta una pistola, regolarmente detenuta, dalla fondina, spara al tizio precisamente in mezzo agli occhi. Poi, lasciate cadere sul bancone alcune monete a pagamento del suo the, e rinfoderata l’arma ancora fumante, esce tranquillamente dal locale e si dirige ad aprire la gioielleria. Fine del racconto.

Fine del racconto?! Ma come, esclamerete voi, non c’è un seguito in cui interviene la polizia che, sapute tutte le circostanze del fattaccio di sangue, irrompe nel negozio dell’assassino e lo arresta?

No, perché tutti i testimoni oculari, dopo aver sentito il dialogo, e vista la fredda determinazione dell’omicida nel far fuori l’altro, temendo di fare la stessa fine, si guardano bene dal descriverlo, o dal dichiarare di conoscerlo. Tutti dicono che, mentre erano intenti a farsi i fatti propri, avevano sentito un colpo di pistola, ma, quando si erano girati a guardare, lo sparatore era già di spalle verso la porta. Com’era? Chi lo descrive alto, chi basso, chi con un impermeabile verde scuro, chi con un cappotto di cammello, chi col cappello a larghe tese, chi con un berretto da baseball. Tutto questo chiaramente previsto dal nostro scaltro assassino.

Vorrete anche sapere perché definisco istruttivo il raccontino.

Primo, esso dimostra che può esistere il delitto perfetto. Secondo, che a volte il delitto paga. Terzo, che anche i figli di buona donna possono avere la peggio. Quarto, che nel caso aveste da reclamare una qualche eredità importante, sarà meglio che lo facciate direttamente davanti al notaio. Buon Anno.

Maurizio Silenzi Viselli

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