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Vangelo della 1.a domenica di Quaresima

tentazione nel deserto.jpgVangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,12-15

12E subito lo Spirito lo getta fuori nel deserto. 13Ed era nel deserto per quaranta giorni tentato da satana; ed era con le fiere, e gli angeli lo servivano. 14E dopo che Giovanni fu consegnato venne Gesù nella Galilea proclamando il vangelo di Dio, e dicendo: 15È giunto il momento: il regno di Dio è qui! Convertitevi, e credete nel vangelo!

Lectio di don Alessio De Stefano

Gesù nel deserto (1,12-13). L’espressione «E subito» crea un nesso fra la scena del battesimo e quella del soggiorno nel deserto (anche per la menzione dello Spirito in entrambe), come affrettando il passaggio dall’una all’altra scena. Questi due versetti, in ragione del confronto con Mt e Lc, sono stati so­vente intesi come il racconto delle tentazioni. In effetti, però, vi è solo un cenno a esse, per cui sarebbe più consono un altro titolo (per esempio: «il soggiorno nel deserto»). Nella Bibbia il deserto è il luogo ove il popolo d’Israele rimase quarant’anni; ove Mosè ed Elia trascorsero un periodo della loro vita. Ed è il luogo della tentazione, per eccellenza. La lotta con i demoni è un tratto essenziale della vicenda di Gesù, narrata dopo il suo bat­tesimo e subordinata, in ogni caso, alla proclamazione dell’evangelo. Premesso tutto ciò il racconto di Marco si presenta come qualcosa che si riferisce al “Vangelo di Dio” e parla dello stesso. Nel v. 14, il cenno fugace a Giovanni lo caratterizza come precursore di Gesù anche nel destino di perseguitato e ucciso (letteralmente «fu conse­gnato», s’intende alla giustizia). La Galilea è quasi un simbolo per il vangelo. Gesù svolse la sua missione nella parte settentrionale del lago di Gennesaret (tra Magdala e Betsaida). Era (ed è) un paesaggio molto bello, specie in pri­mavera: la luminosa distesa del lago, le dolci colline e l’alta volta del cielo, come cornice ambientale in cui la buona novella è annunziata. La Galilea è anche la terra pagana (cf. 3 ,8; 7,31; 11, 17), e la sua menzione è legata alla predicazione universale del vangelo (13,10; 14,9).

«Il vangelo di Dio» è un’espressione coniata dalla lingua missionaria pro­tocristiana (cf. Rm 1,1; 15,16; 2Cor 11,7; 1Ts 2,2.8; 1Pt 4,17), con una ripresa dalla sinagoga ellenistica, sebbene Mc non si possa ridurre a tale predica­zione. Nel v. 15 la prima affermazione - un grido d’araldo profetico-apocalittico-, si può considerare come autentica parola di Gesù.

Il regno di Dio si è così avvicinato, che non resta più alcun intervallo; è finita l’attesa, ora il kairos è compiuto. La conversione corrisponde, per Gesù, al moto preveniente dell’aiuto divino, o grazia (cf. Lc 15,11-32). Essa è ordinata al messaggio della salvezza. Il kairós, a differenza del chrónos (durata temporale), esprime come la qualità di un tempo particolare, carico di significato. Lo troviamo anche in 10,30, 11,13 e 12,2.

Il «tempo compiuto» ha una concordanza con il linguaggio profetico-apocalittico. Dietro vi è la consapevolezza che Dio stabilisce i tempi e fa iniziare la «fine del tempo». È così anche il tempo della decisione, ossia della conversione. Vediamo ancora il concetto di vangelo, che ha varie sfumature: 1) an­nuncio della venuta di Dio per la salvezza e per il giudizio, nella predicazione di Gesù (1,15; 14,9); 2) annuncio missionario della Chiesa primitiva che pro­clama Gesù Cristo (8,35; 10,29; 13,10); 3) l’espressione «il vangelo di Dio» (1,14) sfocia nel «vangelo di Gesù Cristo» (1,1), dal punto di vista logico (cro­nologicamente, infatti, la precede). Il vangelo è divenuto per i suoi discepoli, il vangelo di Gesù Cristo, della sua sofferenza, della sua morte e resurrezione, nella memoria delle sue parole e delle sue azioni, e quale nuovo appello alla conversione e alla fede. E poiché nel racconto di Marco, il termine «vangelo», tranne che nei vv. 1,1.14, ricorre solo in bocca a Gesù, questi richiede in de­finitiva la fede in se stesso quale Figlio di Dio (1,11). Ciò significa che «an­nunciatore del vangelo di Dio» e «annunciato nel vangelo di Gesù Cristo», s’identificano. È un tratto peculiare di Mc, quello di aver presentato la vi­cenda di Gesù come evangelo. Collegato a esso, abbiamo il concetto centrale della predicazione e dell’insegnamento di Gesù: il regno di Dio. Esso si trova sulla sua bocca, in momenti focali del suo insegnamento, o in eventi quali la trasfigurazione. E come la storia di Gesù era anche storia dell’avvento del regno, così la vicenda dei discepoli nell’annuncio del vangelo a tutti i popoli è, in forma nuova, la storia dell’umile crescita del regno fino al compimento finale (8,38; 13,26ss). Il mistero del regno di Dio, dato ai discepoli (4,11), è legato al vangelo proclamato in cui la via di Gesù è una chiamata alla se­quela. Dobbiamo anche dire che la fede dei lettori del vangelo, così come quella dei discepoli, sta o cade rispetto alla paradossale potenza della croce. E, di fronte ai fallimenti narrati in Mc (le donne impaurite che non dicono nulla, 16,8; i discepoli con la loro incredulità e durezza di cuore, 16,14, e prima con la loro fuga, 14,50), spetta al lettore, che conosce già tutto, fare ritorno in Galilea, all’inizio del vangelo, per accogliere l’invito di Gesù (1,15). Il lettore, in altri termini, deve decidere come la storia continuerà e se conti­nuerà nella sua vita. Dai vv. 1,14-15 comincia, in definitiva, la narrazione del mi­nistero di Gesù, nella forma solenne della sua dichiarazione, di stampo pro­fetico-apocalittico. I lettori di ogni epoca sono avvertiti sul tempo finale e la vicinanza del regno di Dio. Sono, nello stesso tempo, come gli interlocutori di Gesù, chiamati a prendere una decisione, che è in qualche modo il «caso serio» dell’esistenza. Convertirsi e credere al vangelo non è mai scon­tato, è bensì sempre una decisione da rinnovare nell’umile sequela di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

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