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Riflessione sulla politicaccia di oggi e quella di ieri

tonino.jpgLo schifo mediatico a cui stiamo assistendo in questi giorni è da paragonare ad alcune situazioni sudamericane. La politica italiana ha raggiunto limiti molto pericolosi, se il popolo italiano non si fosse adagiato in questa passività beota ci sarebbero giustificati elementi di rivolta violenta. Oltre ad essere tartassati dalle difficoltà attuali di tipo economico soprattutto per chi non percepisce un reddito fisso, si ci mettono anche le cosiddette forze dell'ordine che non smettono di vessare l'incauto che cade anche nella più banale infrazione. Quindi come si suol dire dalle nostre parti "U cani muzzica a du strrazzatu". Ad aumentare il disagio di chi è già allo stremo anche le amministrazioni locali non retrocedono di un passo per quanto riguarda richieste di imposte e tasse di vario genere. La mia domanda è questa: FINO A QUANDO SI POTRA' RESISTERE?

In tanti buttano addosso all'attuale governo responsabilità ataviche che certo non sono nate ieri, ma che risalgono a decenni di incuria, di malgoverno e di intrallazzi a tutti livelli.

Anni fa, come ho già scritto in un'altra occasione, conobbi a casa di amici milanesi il grande giornalista e scrittore Gianni BRERA, il quale, riferendosi al meridione, disse che noi eravamo bravissimi nell'arte dell'usurpazione, chiesi a cosa volesse alludere, e mi rispose che il fenomeno, pur presente un po' in tutta la nazione, aveva raggiunto livelli incredibili al sud, dove in tutti i gangli delle pubbliche amministrazioni un’altissima percentuale degli stipendiati (non usò il termine impiegati) era un usurpatore occupava cioè il posto di un altro più meritevole di lui. Una considerazione quella del giornalista che lì per lì mi indignò parecchio, ma poi riflettendo attentamente mi bastò pensare ai tanti miei compagni di gioventù rimasti al paesello che erano stati impiegati nei più svariati organismi comunali, statali, parastatali e via discorrendo, non tanto per meriti personali ma per gli spintoni ricevuti dall’importante politico di turno, per capire che tutto sommato non aveva tutti i torti.

E fin qui’ sono fatti che tutti conosciamo e ai quali ci siamo abituati, ora che si pretende il cambiamento, guarda caso, molti di quelli che lo vorrebbero fanno parte di quella schiera di “raccomandati” che, purtroppo, non riescono più a “sistemare” la figliolanza allo stesso modo. Ragazzi magari meritevoli che oggi hanno preso la strada dell’emigrazione, la stessa che i loro padri riuscirono ad evitare. Mi verrebbe da dire, ben gli sta’! Ma sarei ingiusto nei confronti di giovani che nessuna colpa hanno per le “debolezze” dei loro genitori. Resta però il problema di fondo, attraverso chi si dovrebbe poter attuare il “cambiamento” tanto desiderato (soprattutto a livello locale e regionale) se in tanti hanno usufruito degli intrallazzi della politica? Come si può pretendere che gli “stipendiati” grazie ai favori scaturiti dalle lunghe “leccate”, possano voltare le spalle ai loro “benefattori”?

La risposta ognuno la deve trovare in sé stesso e anche chi è stato beneficiato in passato, oggi dovrebbe trovare la forza di dire NO e almeno nella cabina elettorale tirare fuori quel coraggio civile che gli è mancato in passato.

Ancora una breve riflessione su quanto sta accadendo in questi giorni.

Qualora il M5S dovesse concludere il suo iter governativo, resterebbe nella storia come l'unica organizzazione che sia riuscita a dimostrare come nella cosiddetta società civile ci siano persone di alto profilo e capacità al di fuori dei normali schemi dalla politica corrente. Il prof. Giuseppe CONTE, ne è un esempio. Se gli italiani non riescono a capirlo allora vuol dire che non c'é alcuna speranza di miglioramento in questa società bacata e ammalata di protagonismo. Finché ci saranno personaggi come Salvini e Renzi e tanti italiani che gli stanno dietro con i paraocchi dell'ignoranza più assurda, non si riuscirà ad avere risultati di rilievo. Legge elettorale in primis, e riforma della giustizia sono i nodi essenziali da sciogliere e sono questi temi che non si vogliono affrontare. La lotta senza quartiere che si sta portando avanti contro il M5S non solo dai partiti d'opposizione, ma anche da parte di quasi la totalità dei mass media tende proprio a evitare una soluzione che inficerebbe tutte le possibilità di inciucio e di malaffare che regnano sovrani in questo paese. Lotta dura deve essere e senza quartiere e, permettetemi di dire, senza pietà.

Antonio Michele Cavallaro

PS: Suggerisco la lettura di un’ottimo articolo di Davide D’Alessandro apparso su Huffingtonpost che trovate di seguito.

La crisi di Governo, Montanelli, Prezzolini e i bischeri di oggi

montanelli_prezzolini.jpegIl 26 aprile 2001 sognai Giuseppe Prezzolini. Era seduto sulla panchina di un piccolo giardino. Mi avvicinai e chiesi: “Maestro, per chi voterebbe il 13 maggio?”. Lui, deciso: “Non voterei!”. Non soddisfatto, aggiunsi: “Il suo amico Montanelli ha invitato a turarsi il naso e votare centrosinistra...”. Lui, ancor più deciso: “Quel bischero mi cita sempre, non mi ascolta mai!”. Appena sveglio, inviai il sogno a Montanelli con una domanda: quanto le costa non ascoltarlo?

Il giorno dopo, sul “Corriere”, con il titolo: “Sogno che sembrava vero”, il principe dei giornalisti italiani mi rispose così: “Lo so, lo so: neanche da morto Prezzolini rinunzia a darmi del bischero. Ma ogni tanto mi capita di ricambiarglielo”.

Pensavo all’uno e all’altro mentre seguivo la diretta parlamentare sul voto di fiducia al governo Conte. Pensavo al primo, che se ne sarebbe assolutamente impipato, e al secondo che, pur turandosi il naso, ne avrebbe scritto due colonne per dirsi indignato e nauseato. Se il primo è andato via a 100 anni, nel 1982, a Lugano, il secondo a 92, nel 2001, a Milano. Se il primo non aveva mai votato, il secondo votava  e scriveva un fondo dal titolo: “Comunque mi pentirò”.

Riprendo costantemente i libri del primo e del secondo, perché in quei libri c’è scritto chi siamo stati e chi siamo, come siamo fatti, le nostre grandezze (poche), le nostre miserie (tante). In quei libri c’è la razza italica, una genìa complessa, la superficialità che ci alberga, l’assenza di memoria che ci ghermisce, l’arte di arrangiarsi che ci accompagna. “L’Italia finisce, ecco quel che resta”, direbbe il primo; “In Italia, i regimi politici passano. I somari restano. Trionfanti”, aggiungerebbe il secondo. A entrambi sono stati risparmiati questi anni bui, privi di senso, la caduta verticale di un paese eternamente provvisorio, per dirla con Edmondo Berselli, un paese un tempo in affanno, oggi privo di aria, spento, senza colori.

La caduta iniziò tanti anni fa, con Montanelli ancora in vita. Iniziò quando qualcuno ritenne che si potesse recidere con un colpo d’ascia la storia politica, separare il bene dal male, il presunto bene dal presunto male, archiviare, rottamare, per presentarci il migliore dei mondi possibili. Non è stato così, non poteva essere così. Fior di scrittori, analisti, sociologi e politologi hanno raccontato l’abisso, il trapasso, il vederci sprofondare in una terra di nessuno. Hanno cercato di spiegare la fine dei partiti, l’insorgere della personalizzazione, il frantumarsi di un tessuto già sfibrato, l’eutanasia di una passione, la lontananza siderale tra i cittadini e il palazzo, i rappresentati e i rappresentanti.

Se Leopardi vedeva le mura e gli archi, le colonne e i simulacri, ma non la gloria, Luciano Violante, nel suo ultimo libro, “Insegna Creonte”, crede di aver visto, nell’ultimo tratto della storia politica italiana, l’illusione dell’onnipotenza. Oggi, più che l’illusione dell’onnipotenza, mi sembra di vedere l’inconsapevolezza della mediocrità.

Le immagini del Senato di martedì 19 gennaio sono state di una desolazione infinita. Siamo caduti oltre il basso e oltre il basso non c’è altro. Si può continuare a sognare Prezzolini che pensa e Montanelli che batte sui tasti, la macchina da scrivere poggiata sulle gambe, ma continuare a sognare aiuta a evadere, lenisce la pena, non risolve la questione. I bischeri non erano loro, che si prendevano amabilmente in giro. I bischeri sono qui. Non sanno né pensare, né scrivere, ma fanno politica. O fanno finta, tanto è lo stesso.

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