Questo sito utilizza cookie per garantire il corretto funzionamento delle procedure e migliorare l'esperienza d'uso delle applicazioni. Se vuoi saperne di più o negare il consenso clicca su info. Continuando a navigare o accettando acconsenti all'utilizzo dei cookie.

Il Paese Mio (poesia)

Stampa

 

villa comunale 1950-1.jpg

Il paese mio,

Amico mio,

È mio perché là son nato,

Là ho aspirato la prima aria,

Ho visto il primo cielo,

Le prime stelle,

Ho calpestato la prima terra

Che era morbida sotto il piede.

Mi ha sorriso dolce con il sole

Come il sorriso della fanciulla

Al mio primo amore.

Il paese mio,

È una parte del mio DNA,

È un globulo del mio sangue

Che scorre nelle vene

Perché i miei morti hanno intriso

D’humus la sua terra come tesoro prezioso

Con cui alimentarmi negli anni della crescita.

Il paese mio è come una perla

Racchiusa nelle valve di un’ostrica gigante

Come le pietre che lo chiudono

In uno scrigno enorme e duro.

Il paese mio.

Io l’amo, anche se spesso è amaro,

E mi da fitte di dolore al cuore,

Come le tempeste di primavera

Che lo coprono con acque, saette e tuoni.

È nella mia testa, nel profondo del cervello

Lo sogno di notte nel profondo del sonno,

Quando compare come la fata Morgana

Che sparisce dagli occhi, dalle mani

Tese ad accarezzare le sue vesti,

Che si dileguano veloce sparendo.

Il paese mio,

E’ quello che mi spinge alla malinconia

Alla nostalgia dal prurito dolce e amaro

Nelle sere nere di primo inverno

Mentre la luna lentamente sale e se ne va.

Il paese mio,

Sono i ciottoli dei vicoli

Che serpeggiando la dividono,

Le case consunte, antiche con i coppi rossi

i fumaioli anneriti dai fuochi dei camini.

Il paese mio,

E’ la monolitica torre campanaria

Che svetta alta verso il cielo.

I calanchi che torno, torno la recingono,

Un fiume che rumoreggia vecchia fiumara

Nei giorni uggiosi a lungo piovosi.

Il turrito orologio antico che batte forte

Suadente tutte le ore della vita

E le spande nette e chiare alle campagne

Ove il campagnolo zappa una terra dura

Miete ridente il grano sotto il sole a luglio.

Il paese mio,

Amico mio,

Ha qualcosa in più, per farsi amare.

Ha una campanella vecchia,

Dai rintocchi calmi, netti, prolungati,

Il cui eco non mi da timore, non desta rancori.

Ai funerali dal duomo al campo dei santi,

Suona amorevole e dice dolce “vieni, vieni,

Ti aspettano color che son passati.

Potrai riposarti dopo i tribolati giorni,

Dopo gli affanni duri, inutili, illogici

Degli anni che il tempo ti ha donato.

Serenamente potrai godere dei più

Che ti hanno non invano preceduti.

Scioglierai i nodi gordiani della storia,

Aprire il libro dei tanti tuoi perché,

Conoscere il mistero della nascita,

Quel fiat che ti ha dato il calice del pensiero.

Dove forse, disteso al sole, amorevolmente

Infine, potrai sorridere per l’eternità”

Michele Miani

GIUGLIANO IN Campania li, 14.02.2017