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Vangelo di Domenica 20 Ottobre 2019

gesu giudice vedova.jpgDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 18,1-8.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno.
In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi».
E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto.
E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Lectio di don Alessio De Stefano

Continuando a parlare con i discepoli della venuta del regno dei cieli, Gesù raccomanda di pregare. Il regno è già qui e tutto ciò che va verso il non ancora deve farsi preghie­ra. Nell’ultimissima parte del cammino, ormai prossimi a Gerusalemme, Gesù e i suoi passano per Gerico, prima di intraprendere la salita di circa una trentina di chilometri che li condurrà sul Sion. È tempo per il Maestro di dare gli ultimi, essenziali insegnamenti, sia ai discepoli sia a quelli che ancora fanno folla con loro. In questa parte, che va da 18,1 a 19,10, troviamo Gesù che insegna per mezzo di para­bole (cf 18,1-14), ma anche con contatti diretti e personali, come nel caso del notabile ricco e di Zaccheo. Vuole dare ancora una forte lezione sulla ricchezza che può diventare un ostacolo alla sequela di Gesù (cf 18,18-23), ma tutto dipende dalla capacità o meno di convertire il cuore (cf 19,1-10) e di diventare come bambini. Gesù annuncia per l’ultima volta la sua passione, morte e risurrezione, ormai che tutto ciò è imminente (18,31-34). E proprio con essa irromperà il regno di Dio. Il suo insegnamento è diretto a provocare un sentimento di urgenza in chi lo ascolta: occorre gettare via tutto ciò che possa ostacolare l’accoglienza del regno.       

Il capitolo si apre con una parabola che porta un messag­gio provocatorio: un giudice non credente e fuori dalla legge di Mosè che diventa la metafora di Dio stesso! Similmente ai casi che Gesù ha utilizzato in precedenza, a proposito dell'in­sistenza dovuta nella preghiera, in cui, ad essere felicemente importunati, erano un amico ed un padre (cf Lc 11,5-13) qui si propone, infatti, la figura di un giudice - per di più disonesto! - che fa giustizia ad una povera vedova. Tutto ciò per affermare che lo stesso farà Dio ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui. Forte appare ancora la sfida di Luca verso i giudei e la loro "giustizia" che si ripropone nella parabola del fariseo e del pubblicano (cf vv. 9-14). Tipica antitesi lucana, questa parabola viene ad arricchire la già vasta gamma proposta (cf i due figli in Lc 15,11 ss; il ricco e il povero Lazzaro in 16,19-31). Farisei e pubblicani sono tra le presenze più assidue al magistero di Gesù (cf Lc 15,1 e i farisei e i pubblicani che ascoltano Gesù); ad essi il Maestro si rivolge dopo i discepoli.

Anche un giudice disonesto cederà all’insistenza di una povera vedova che chiede giustizia! Come non lo farebbe il Signore? Come non lo farebbe Dio, vostro Padre? Insistere significa credere. Quante volte chi ha bisogno di giustizia si vede rimandata la data della sua causa, specialmente se si tratta di una persona che non ha santi in paradiso?

Ai tempi di Gesù era frequente il caso che una donna, quando fosse restata vedova e senza molto denaro, non fosse in grado di gestire le controversie sulla divisione dei beni. In molti casi il poter avere l’assegnazione legittima di un bene, dopo la morte del marito, costituiva per una vedova l’unico mezzo indispensabile per la sua sussistenza. Talvolta le vedove si ap­poggiavano ad un avvocato o ad un procuratore, ma nel caso della parabola, la donna si rivolge direttamente al giudice. Di lui si dice che «non temeva Dio» (ton theén me foboumenos) (v. 2). Siccome la storia si svolge in una città senza nome (cf v. 2), potrebbe essere che il giudice non fosse ebreo, né fedele alla legge di Mosè. Ipotesi ulteriormente avvalorata dal dire: «che non rispettava nessuno», poiché in Israele temere Dio e aver amore e cura dei fratelli erano un tutt’uno. Una certezza già confessata ampliamente nel Primo Testamento, dove Dio è il difensore dei deboli (Dt 10,17-18; Es 22,20-23; Sir 35,17- 18), benché ciò non avesse mai garantito - ahimè! - la fedeltà degli stessi pastori o dei giudici che erano al governo. Pur avendo essi, infatti, la primaria responsabilità di soccorrere le vedove e di rispondere alla loro causa, spesso e volentieri se ne dimenticavano.

La parabola suona, quindi, fortemente critica nei confronti dei giudei attuali, i quali non hanno cambiato vizio rispetto ai loro padri. Ancora una donna a simbolo del popolo di Dio. La vedova è l’Israele sposa di Adonai che ha perso la preziosa presenza del suo Signore e non ha più pane per vivere, né diritto per farsi ascoltare. La vedova che insiste rivela il cuore di un marito che ancora la ama e le chiede di credere ancora nel suo amore, attraverso la forza della fede. Essa è memoria della città di Gerusalemme, quando rimasta sola e desolata, privata perfino dei figli, era chiamata ad offrire un sacrificio di lacrime al suo Dio. Oggi quella vedova ha rialzato il capo e grida di nuovo a Dio af­finché le renda il suo pane e i suoi figli. La preghiera è la sua unica arma e Gesù la invita ad usarla sino in fondo. Insistere è ciò che deve fare. La sua immagine si appaia con quella del popolo che «pregava nell’ora dell’incenso» (Lc 1,10) e diventa simbolo di tutto Israele che attende il Signore.

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