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Vangelo della III Domenica d'Avvento - 11/12/22

giovanni battista Preti - 1660 San Francisco.jpgVangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 11,2 - 11

In quel tempo 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via
.

11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

Commento di Mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace

La salubrità del dubbio

Il Giovanni Battista di questa domenica forse è quello che ci piace di più, perché lo sentiamo vicino alla nostra debolezza, e quindi più umano. Infatti, lo troviamo alle prese con una crisi di dubbio sull’identità messianica di Gesù. E mettere in dubbio Gesù significava mettersi in discussione come precursore del Messia. Da qui la domanda: “Sei tu che devi venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Essa esprime tutta l’incertezza e la delusione di un uomo che vede il Messia atteso ben diverso dalle sue aspettative. Il Battista, infatti, aspettava un giustiziere, castigatore dei potenti e vincitore sulle ingiustizie. Ma quel Gesù diceva di essere venuto non per essere servito, ma a servire; non a condannare, ma a perdonare; non a salire sul trono, ma sulla croce; non a giudicare l’immobilismo della legge, ma a superarla. Noi oggi siamo come il Battista: prede della crisi del dubbio, ci chiediamo perché, nonostante tutto, la fede ci inviti alla gioia. Quali sono infatti i motivi per rallegrarsi, per gioire, se la cronaca quotidiana e l’esperienza personale ci offrono una enorme quantità di motivi per piangere, fare lutto, riconoscere i nostri continui insuccessi? Può sembrare addirittura forzato e artificioso l’invito alla letizia quando sarebbe più realistico un atteggiamento pessimistico e rassegnato. Invece di un grido di gioia sarebbe più pertinente alla nostra condizione una protesta, un urlo di rabbia rivolto contro il silenzio di Dio apparentemente impotente nella storia di questi giorni. In realtà, i dubbi di Giovanni il Battista e i nostri, come pure le nostre obiezioni circa la gioia hanno la stessa radice: pensare Dio secondo il nostro metro inadatto e improbabile ed attenderLo secondo gli schemi della nostra cultura. Noi dimentichiamo che l’Atteso è mistero, e accade che preferisca una stalla al palazzo di un re per venire al mondo, pastori ai dignitari reali, la luce d’una cometa che squarcia il cielo notturno alle mille torce capaci di illuminare a giorno. Per tutto questo si è dubbiosi: si aspetta un Dio e arriva un bambino; si aspetta un Salvatore e nasce una tenera creatura che ha bisogno di tutto, come tutti i neonati. A questo punto, il dubbio giova, giacché è un pungolo a proseguire il cammino e per cercare di vedere lo stato delle cose. Gesù stesso invita a scrutare oltre, a ricercare quei segni che parlano della vicinanza del regno anche oggi. Sono proprio queste piccole, nascoste testimonianze, disseminate nel nostro quotidiano, a rendere possibile la nostra gioia, a garantire che il Signore continuerà a venire per salvarci, nonostante la nostra storia si possa presentare corrotta e cattiva. Come ai tempi del Battista, però, l’agire di Dio non ha modificato le sue modalità: la nostra impossibilità si compie nella sua possibilità senza clamori e pubblicità, senza imprese sensazionali e straordinarie. Del resto il Signore non vuole offrirci l’evidenza, si preoccupa piuttosto di offrire i segni della sua presenza, che ciascuno, in piena libertà e con senso di responsabilità, è chiamato a interpretare. Per questo, tuttora, l’azione dell’amore di Dio non fa rumore, non è riportato sui giornali, ma si manifesta silenziosamente e umilmente in chi si mette al servizio degli altri, in chi fa della propria vita un dono, in chi decide di restare fedele alla Verità e lottare per essa. In chi, infine, ha il coraggio di presentarsi come il Battista: corpo segnato, scavato dal Verbo, profezia incarnata in comportamenti concreti. In altri termini, in chi ha il coraggio oggi, in questa società “scristianizzata” o dal cristianesimo posticcio di realizzare una vita cristiana, una vita radicata in Cristo e, perciò, incarnata nella sua Parola. Sta a noi scegliere se seguire lo “scandalo” della fede o, abbandonata la verità, continuare a defilarsi nell’apparente normalità perbenista e mediocre del nostro vissuto quotidiano.

Speranza e pazienza

Questa scelta tuttavia non è di quelle facili, ma è proprio nella difficoltà di scegliere ogni giorno che consiste tutta la fatica e la gioia di credere. E in questo la fede del Battista fa sicuramente scuola. La sua fede di fatto è una fede esemplare giacché non è monolitica e compatta, scontata e inerte, priva di passione e vita. È tutt’altro, è fede che cerca, s’interroga, ritrova continuamente le proprie motivazioni. È fede che nella difficoltà estrema, mentre patisce delusioni, non si arrende, ma semplicemente vorrebbe, se fosse possibile, un supplemento di luce. Il supplemento di luce è Cristo stesso, infatti, più delle sue guarigioni e delle sue parole, il segno più grande dell’identità messianica di Cristo, è la sua stessa Presenza, viva e vera, che è trasparenza pura e totale dell’amore del Padre. Ma nonostante ciò, certe volte ci si sente spossati, delusi, perfino tristi. Questo è sbagliato, perché dimentichiamo che il volto divino del Bambino che viene ci ha già conquistato il cuore, e se questo è vero allora tutta la vita deve portare il riflesso della Sua luce segreta. Due parole non dovrebbero mai essere eliminate dal vocabolario personale dell’attesa: speranza e pazienza, virtù non particolarmente amate, dal momento che richiedono del tempo per sbocciare e crescere e, oltre tutto, non sono al passo con i nostri di tempi, tempi del “tutto, subito e certo”. Eppure, sono esse che rafforzano la nostra fede, che ci aiutano all’inizio di ogni impresa, di ogni cammino, ci sostengono lungo la strada, fino al telos. Tutto inizia da esse, continua con esse e finisce in esse. Non a caso il Signore è nostra speranza, ma anche Signore di pazienza. Infatti noi contempliamo, con occhi e cuore colmi di speranza, Cristo che ci attende con il cuore colmo di amorevole pazienza. L’Avvento, in fin dei conti, è storia di questo incontro fra la nostra speranza e la Sua attesa.

Conclusione

L’autore della Fattoria degli animali, George Orwell, avvertiva: “Libertà significa poter dire alla gente anche quello che la gente non vorrebbe sentirsi dire”, e Giorgio Gaber cantava che “libertà é partecipazione”. Ecco, i cristiani dovrebbero essere uomini che partecipano alla gioia, di contagiare di speranza, di annunciare la verità di un Dio che, per salvare il mondo e gli uomini, è diventato bambino. E non importa se questa verità di forte umiltà e incommensurabile amore è da inciampo a molti, non importa se talvolta si scontra con la mediocrità dell’uomo e viene giudicata scandalosa: la verità di Dio non si può abbandonare, la si può solo cercare, sostenere, incarnare, amare, partecipare.

 

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