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E.Galli della Loggia: Perdere (insieme) l'identità

Ernesto-Galli-della-Loggia.jpgL'amico avv. Amerigo Minnicelli ci segnala l'interessante articolo di Ernesto Galli della Loggia (nella foto) , che vi proponiamo, apparso nei giorni scorsi sul Corriere della sera.

CENACOLO DEL LIBERO PENSIERO, ROMA

Carissimi amici,

ho ricevuto giorni fa da Giancarlo Zuccaccia, eminente avvocato perugino e non solo, un’intervista del Presidente emerito Senatore Francesco Cossiga sul tema della Giustizia e dell’Associazione Nazionale Magistrati ed al quale ho avuto l’onore di stringere la mano quando era ancora al Quirinale e c’era tra i suoi collaboratori più stretti Giuseppe Carbone che poi sarà per lunghissimo tempo indimenticabile Presidente della Corte dei Conti e autore della sua Riforma che, tra l’altro, ha portato alla creazione delle Procure regionali a salvaguardia della tutela del  danno erariale e quant’altro … .

Quindi mi è cosa gradita segnalare sul tema più generale di chi controlla che cosa, questo articolo di Ernesto Galli della Loggia apparso sulla prima del Corriere giorno 20 scorso e che si distingue per il merito e per la straordinaria capacità di sintesi su un argomento (identità PD-5Stelle) ed il neo trasformismo dal quale siamo afflitti.

Buona lettura

Amerigo Minnicelli  

CORRIERE DELLA SERA

Ernesto Galli Della Loggia

Ed. Giovedì 20 agosto pagg. 1 e 26

PERDERE (INSIEME) L’IDENTITÀ

Da un lato la richiesta del PD ai 5 Stelle di un’alleanza elettorale, che in qualche modo confermi quella di governo e addirittura la prospetta come un dato permanente anche in futuro.

Dall’altro il ripudio dei 5 Stelle di parti essenziali della propria identità originaria anche al fine di aderire a tale richiesta.

Entrambe queste circostanze hanno un significato che va al di là della pur importante cronaca politica. È difficile non considerarle, infatti, come sanzione di un dato ormai consolidato del nostro sistema politico: e cioè che tale sistema politico – una volta messosi alle spalle 25 anni fa l’età dei partiti storici della Repubblica – sembra ormai sopravvivere solo per adattamenti trasformistici successivi.

Che però oggi rappresentano un vero e proprio salto qualitativo dando vita all’incontro di due trasformismi.

Il trasformismo, insomma, si avvia a divenire il vero principio costitutivo del sistema politico italiano.

Perfettamente simboleggiato, direi, da un Presidente del Consiglio che solo poco più di due anni fa era uno sconosciuto prima di qualsiasi appartenenza politica, il quale ancora oggi pare fiero di non averne nessuna, ma ciò non ostante in un biennio ha presieduto due governi successivi  formati da due maggioranze diverse e opposte. Non solo un caso unico nella storia delle democrazie occidentali ma, verrebbe da dire,  quasi la forma più alta e compiuta di trasformismo politico che si possa immaginare, cioè la non appartenenza ad alcun partito e ad alcuno schieramento come premessa per rappresentare indistintamente tutti, il vuoto politico come anticamera di qualunque politica

Il fatto nuovo è che questa volta della deriva trasformistica italiana appare protagonista a pieno titolo il Partito Democratico.

Ora il PD non è un partito qualsiasi.

Con gli anni, infatti, e per ragioni molteplici esso (partito) è diventato il vero partito della Costituzione della Repubblica, per certi versi il <<partito dello Stato>>: punto di raccolta dell’intero ceto burocratico  dirigente e dell’èlite del Paese, nonché titolare di un decisivo potere di legittimazione: all’incirca qualcosa di simile al ruolo che ebbero i liberali nei decenni dopo l’unità. Prova ne sia che in tutto questo tempo qualunque personalità, partito o schieramento abbia provato a governare contro il PD ha sempre rischiato di essere messo sotto accusa in vari modi come un partito o uno schieramento a vario titolo fuori o contro la Costituzione se non potenzialmente eversivo.

Per tale comoda rendita di posizione il PD ha tuttavia pagato e paga  un prezzo: ovvio e crescente disinteresse per l’elaborazione di una chiara piattaforma programmatica sua propria, e una strisciante disponibilità ad assorbire punti programmatici altrui.

Non diversamente, ancora una volta, da quanto accadde ai liberali storici tra 800 e 900.

Sta di fatto che con le sue ultime decisioni il Partito Democratico ha di fatto stabilito:

a) Di rinviare a data da destinarsi quell’idea di <<rifondazione della sinistra>> di cui se ben ricordo aveva fatto il proprio orizzonte nel convegno di San Pastore nel gennaio di quest’anno;

b) di rinunciare clamorosamente alla <<vocazione maggioritaria>> che pure era un elemento essenziale del suo stesso atto di nascita per puntare viceversa su una strategia di alleanza organica con un’altra formazione;

c) e di scegliere come partner  di un’alleanza elettorale che si annuncia strategica (quindi molto più significativa di un’alleanza di governo) proprio con il partito che fino all’altro ieri considerava l’alfiere del populismo e quindi insieme alla destra salviniana, il proprio maggior nemico. Giungendo fino al punto, per fare un solo esempio, che oggi ne sposa di fatto la riforma  costituzionale, oggetto di un prossimo referendum, che ha ridotto il numero dei parlamentari. Proposta la quale, non accompagnata da alcuna ulteriore modifica del testo della Carta, apre la via a radicali mutamenti nel meccanismo dei quorum  necessari ad eleggere alcuni organi di vertice della Repubblica.

Quanto al vero e proprio gorgo trasformistico che sta inghiottendo l’identità 5 stelle – presentato pudicamente dai suoi dirigenti come <<un’evoluzione>> - sembra inutile spenderci sopra troppe parole -. Se non per notare come questa presunta <<evoluzione>> sia la prova di almeno tre cose, forse ancora non chiare a molti:

a) dell’assoluta necessità che per fare politica si sia in possesso di una qualche non indegna scolarizzazione, di qualche lettura e di qualche idea non presa in prestito dagli album di topolino;

b) dell’alta problematicità della società italiana lasciata a se stessa e libera di esprimersi riesca a selezionare una classe politica presentabile e all’altezza del proprio compito;

c) dell’ardua compatibilità del nostro sistema politico con l’immissione di nuovi attori decisi realmente a fare cose nuove e a comportarsi in modo nuovo (ammesso che tali fossero i grillini). Un impegno in Italia sempre difficilissimo stante la rete soffocante di passaggi formali e informali, di condizionamenti istituzionali e non, di regole scritte e non scritte che avvolge la nostra intera vita pubblica. E al quale quindi, i 5 Stelle, hanno prudentemente preferito rinunciare senza pensarci troppo.   

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