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"La vita agra", libro da leggere o rileggere

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vita agra.jpgMi è capitato di rileggere un romanzo di un giornalista. scrittore, traduttore, sceneggiatore, nonché professore di liceo che negli anni ’60 ebbe un notevole successo; mi riferisco a “La vita agra” di Luciano Bianciardi. Sicuramente quelli della mia età lo ricorderanno, e ricorderanno forse di più il film di Carlo Lizzani, ispirato al romanzo, in cui Ugo Tognazzi interpretava il ruolo di Bianciardi/protagonista. Ero giovanissimo quando usci il libro e non c’era al mio paese una libreria con tutte le novità librarie, ma anche se ci fosse stata, non avrei avuto i soldini per poterle acquistare. Il film, invece, riuscii vederlo a Castrovillari, nel mitico cinema Vittoria (ho appreso giorni fa con piacere che si sta provvedendo a restaurarlo per la riapertura) , Ugo Tognazzi ed il regista Lizzani furono un richiamo irresistibile. Devo essere onesto, il film non mi piacque molto, lessi il libro qualche anno più tardi e ammetto che finalmente riuscii a capire il perché aveva avuto così tanto successo. Bianciardi, grossetano di nascita, fu uno degli scrittori del rinnovamento culturale italiano post-guerra, un anarchico (di quelli di cui si è perso lo stampo, direbbe il mio caro amico Turillo Galizia) nel senso moderno del termine, che iniziò la sua carriera di scrittore collaborando con un altro grande autore italiano di quel periodo, Carlo Cassola (che ho avuto il piacere di conoscere personalmente quando venne a presentare in Svizzera nella libreria italiana che gestivo il suo ultimo romanzo “Il superstite”) col quale portò avanti un’inchiesta sulle condizioni dei minatori della Maremma che lavoravano per la Montecatini - 43 dei quali persero la vita in un incidente avvenuto nel ’54 nella miniera di Ribolla - dalla quale scaturì il libro scritto a quattro mani “I minatori della Maremma”.

Ma non voglio riportare qui notizie che si possono trovare facilmente sul web, anzi vi consiglio di cliccare qui per più ampie informazioni, mi preme invece esternare le impressioni che ho avuto nel rileggerlo a 50 anni di distanza, con l’evoluzione tecnologica che nessuno di noi, e tantomeno Bianciardi, poteva immaginare, ma con l’involuzione politica e culturale che stiamo vivendo. Certo i giovani nati negli anni ’90 e ancor di più quelli nati nel terzo millennio, avranno difficoltà a comprendere quanto il mondo sia cambiato negli ultimi 30/40 anni, ma sono sicuro che la lettura de “La vita agra” può contribuire moltissimo per imparare a comprendere le difficoltà di un tempo, alcune delle quali, ancora oggi, risultano insormontabili per molti. Vi propongo la lettura di un breve brano del romanzo e poi ditemi, per favore, se in quello scritto non ci sia ancora molto della nostra vita contemporanea.

“Io lo giuro, non ho paura della morte, ma l’agonia sì, mi fa paura, specialmente quando dura anni, e ti mozza il lavoro, e tu stai male, avresti bisogno di riposarti e di guarire, e invece continuano a tafanarti i padroni di casa, i letturisti della luce, le tasse, i rappresentanti di commercio, i datori di lavoro, i medici, i farmacisti, le cambiali, gli esattori dell’abbigliamento. L’agonia continua fino a che a tutti costoro sembra che ci sia il modo di levarti di corpo qualcosa ancora, e fino a che tu abbia la forza di continuare. Poi lasciano che tu muoia.

E’ per questo che il viso dell’agonizzante ci si mostra sempre così terreo e stravolto: sta lottando non contro la morte ma contro la vita, perché pensa e si arrabatta di trovare i soldi per pagare il prossimo. Poi, appena morto, lo vedete distendersi, riposare e sorridere ironico. Ora – così par che dica – arrivederci a tutti e sotto voialtri, io stavolta vado in pensione sul serio, pagateli voi, i conti, e non i vostri soltanto, ma anche i miei, per la cassa, per il trasporto, la buca al cimitero. E sorride.

Anzi mi ha spiegato un amico mio di Roma (ciò che di solito viene nascosto ai più perché, dicono, la morte è solenne e va rispettata e certe cose è meglio non raccontarle in giro) mi ha spiegato quest’amico mio di Roma che un sei sette ore dopo la morte c’è la defecatio post mortem, cioè a dire il morto, quando è morto davvero, se fa ‘na bella cagata, nel letto, in modo da cominciare a puzzare prima ancora che si sia avviata la normale putrefazione. E sorride, perché quella evacuazione non è per niente automatica e inconsapevole, secondo me. Il morto lo sa, di andare contro a tutte le regole del ben vivere, si sta beffando dei congiunti, degli amici, delle pie donne. E’ la sua prima vendetta contro il prossimo.

Poi c’è ben altro, perché arrivano i preti. Non si sono mai visti sin allora, né a farti pentire dei tuoi peccati, né a consolarti delle tue pene, ma appena sei morto arrivano perché a loro preme la tua anima, e nel bilancio della loro carriera conta il numero delle anime salvate appena morto il corpo.”

Nella speranza che non siate rimasti scandalizzati dalla dirompente disamina di Bianciardi, vi ringrazio per il tempo dedicatomi. Vi lascio con l’invito di leggere “La vita agra” e … fatemi sapere.

Antonio Michele Cavallaro