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2 Articoli, dalla Gazzetta e dal Quotidiano, sulla pandemia

bertoloneTra allarmisti e negazionisti in mezzo sta la realtà vera, la si può ingigantire o rifiutare ma non possiamo cambiarla. In due note pubblicate sui due maggiori quotidiani calabresi, Vincenzo Bertolone arcivescovo di Catanzaro Squillace, offre il punto di vista del credente.

Articolo apparso sull'Edizione di Catanzaro della Gazzetta del Sud di Domenica 25 Ottobre

«Gli uomini non sanno apprezzare e misurare che la fortuna degli altri. La propria, mai».

Chissà se le parole di Indro Montanelli ispireranno qualche riflessione nell’Italia che inesorabilmente, almeno secondo le leggi della matematica, sembra destinata ad una nuova stagione di sacrifici e privazioni per il riaccendersi della pandemia. Di tante opportunità che verranno probabilmente a mancare, il rimpianto più grande sarà per i giovani: quelli che si vedranno portar via pezzi di presente e spazi di futuro nelle relazioni e nel lavoro, per i giovanissimi, anche nella scuola. Molte Regioni hanno già deciso, e c’è da presumere che anche altre facciano a breve altrettanto che negli istituti superiori, per ora solo in essi, non ci saranno più lezioni in presenza. Si torna alla didattica a distanza, come nei giorni più bui dell’emergenza sanitaria. Si riaccendono dunque i computer, ed è un sollievo che ci siano (quando ci sono….). Ma al fondo non si può certo gioire per la traumatica interruzione del rapporto diretto, essenziale, tra gli studenti, i docenti ed il luogo in cui l’insegnamento avviene. Del resto, è dato ormai assodato: in un mondo in cui si contano all’incirca 250 milioni di ragazzi che, per una ragione o per l’altra a scuola proprio non possono andare, la Covid-19 non ha fatto altro che esacerbare il divario sociale tra chi alla Dad può far ricorso e chi, invece, per farlo non ha gli strumenti adeguati.

A guardar bene, è questa una ferita che reclama attenzione al pari di tanti grandi problemi che tormentano l’umanità. La didattica a distanza ha molti pregi, ma anche grandi limiti: la relazione con alcuni alunni diviene labile, disagi familiari preesistenti si traducono in isolamento e distacco. Così a volte i giovani si ritrovano senza un luogo protetto in cui crescere per poter fare la differenza, dimenticando che rimettere in piedi un ragazzo quando cade a terra, fornirgli il nutrimento alimentare e gli strumenti linguistici necessari a esprimersi, significa dare acqua alla pianta dell’umanità, far battere il cuore del mondo, assumersi il peso del futuro.

Trasmettere competenze alle nuove generazioni, senza curarsi di considerare la centralità della persona in questo fondamentale passaggio, significherebbe garantire, soltanto e semplicemente, il pur importante bagaglio di abilità, doti, perizia, nozioni.

Appare evidente che serva altro. E quel di più che occorre coincide col bisogno di imprimere una svolta ai modelli di sviluppi imperanti, per ricercare – come osserva papa Francesco, «altri modi per intendere l’economia, la politica, il progresso». La sorgente cui attingere diventa proprio quella indicata dal Santo Padre nell’enciclica Fratelli tutti: «Nell’educazione abita il seme della speranza». Una fortuna da coltivare a scuola, per superare la mentalità dello scarto e dare voce ai più giovani e ai meno favoriti dalla sorte.

Vincenzo Bertolone

 

Articolo apparso sull'Edizione di Catanzaro del Quotidiano di Calabria di Domenica 25 Ottobre

Sta andando tutto bene? Il rischio dei nuovi “panglossisti”

A furia di ripetere “andrà tutto bene”, in tanti si sono ritrovati inermi nel pieno della seconda ondata di infezioni da SARS-CoV-2; ciononostante, continuano imperterriti a vivere come la pandemia non ci fosse.Come dei “panglossisti” redivivi. Panglossisti, cioè seguaci di un personaggio di uno scritto satirico dell’illuminista Voltaire. Questo pensatore scettico, laico e anticlericale, nel Candide fin dalle prime pagine tratteggia il precettore Pangloss: costui diviene l’emblema di chi ha un’ostinata fede immotivata; credendo all’armonia cosmica teorizzata da Leibniz, Pangloss è ammalato di fiducia, fino a riuscire a negare la stessa evidenza del male. Solo che poi finisce impiccato (ma rocambolescamente sarà comunque salvato dalla fossa), mentre lo stesso Candido, prima di essere a sua volta bollito da una tribù di selvaggi, ascolta una famosa sentenza, che sembra fare il verso a chi ripete acriticamente “andrà tutto bene”, mentre di fatto tutto continua, ahimé, ad andare abbastanza male: «Questo, probabilmente, è il paese dove tutto va bene, giacché bisogna assolutamente che uno ve ne sia di questa specie: dica quel che vuole il maestro Pangloss, io mi sono spesso avveduto che tutto andava molto male in Westfalia».

Cosa voleva insegnare la “favola” razionalistica di Voltaire a fine Settecento? Da buon illuminista, egli riteneva che credere in un mondo ordinato non sia altro che un “sacrificio dell’intelletto” a cui ci avrebbe abituato la fede religiosa, con le sue infondate teorie di Provvidenza, di Creazionee altro. Un intelletto, quello di Voltaire, ma anche di tanti altri oggi, intossicato da una presunzione fatale che, attraverso la canzonatura di Pangloss, cerca di sbarrare la porta alla possibile spiegazione religiosa. O ragione autonoma, insomma, o - come scrive lo sprezzante Voltaire - l’arzigogolo della cosmologonigologia? Un aut-aut senz’alcuna possibilità di un “et-et”. Difatti, «Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmologonigologia. Provava egli a maraviglia che non si dà effetto senza causa, e che in questo mondo, l’ottimo dei possibili, il castello di S. E. il barone era il più bello de’ castelli, e Madama la migliore di tutte le baronesse possibili. — È dimostrato, diceva egli, che le cose non posson essere altrimenti; perché il tutto essendo fatto per un fine, tutto è necessariamente per l’ottimo fine. Osservate bene che il naso è fatto per portar gli occhiali, e così si portan gli occhiali; … Per conseguenza quelli che hanno avanzata la proposizione che tutto è bene; han detto una corbelleria, bisognava dire che tutto è l’ottimo».

In nome dell’uso acritico dei principi di causa e di ragione sufficiente, anche di fronte a naufragi, terremoti, eruzioni vulcaniche, pandemie e cataclismi, Panglossdunque si ostina, fino al punto da confessare «d’aver sempre orribilmente sofferto ma siccome aveva sostenuto una volta che tutto andava a maraviglia, seguitava a sostenerlo, e non credeva a niente». Bisogna decodificare il sottile veleno che serpeggiava nel Candide e continua a serpeggiare ai giorni nostri in chi esclude pregiudizialmente qualunque valenza religiosa nel modo di affrontare, spiegare e combattere i mali e, da ultimo, la pandemia. In realtà, altro è la fiducia immotivata e non fondata, altro è escludere aprioristicamente il possibile intervento del divino nel parallelogramma di forze umane e terrestri, mentre si sta lottando contro il contagio e cercando di limitarne gli effetti devastanti per i corpi, la psiche e le anime.

Certo, questo che oggi ci è dato di vivere non è il migliore dei mondi possibili, ma i credenti non ragionano affatto come Pangloss. La fede cristiana non è candida come il personaggio del Candide, né tanto meno ingenua. Il personaggio voltairiano «li consolava assicurandoli, che le cose non potevano andare altrimenti; perché, diceva egli, tutto quel che è, è ottimo, imperocché se vi è un vulcano a Lisbona non poteva essere altrove non essendo possibile che le cose non sieno dove sono; perché ogni cosa è bene». I personaggi credenti, quali siamo noi oggi, non affermano per partito preso che tutto va bene. Anzi, pur credendo che Dio vede e provvede, e dunque può essere invocato perché intervenga, non possono ignorare lo squilibrato rapporto frattanto istituito dall’uomo con la natura, a volte sfruttata selvaggiamente, a volte “idolatrata” e oggetto di attenzioni maggiori rispetto a quelle riservate all’essere umano. Non è forse il salto di specie, effettuato dal coronavirus, anche un segno dello squilibrio indotto da un piccolo uomo, che ha forse creduto infondatamente di poter strafare e dominare e controllare tutto? Qualunque tentativo di escludere Dio dalla vita delle persone e quello connesso di marginalizzare ad ogni costo la spiegazione religiosa dalla vita sociale e dai fattori soprannaturali da mettere nel gioco del far andare tutto bene, va stroncato sul nascere, qualora si insinuasse anche nella nostra mente. La fede non può essere ridotta a dabbenaggine panglossista, relativa cioè esclusivamente alla sfera soggettiva del sentimento dell’individuo e al regno mutevole dell’esperienza personale, mentre il mondo continua a girare con i suoi alti e bassi.

Si tratta, in definitiva, di rispettare la «grammatica» che il Creatore ha inscritto nella sua opera, affidando all’uomo il ruolo di custode e amministratore responsabile del Creato. Il libro della Creazione, oggi gemente sotto un attacco pandemico, viene decifrato anche nella “Rivelazione”, nella storia culturale e religiosa, non certo ostinandosi a ripetere che tutto è l’ottimo o che tutto andrà comunque bene. Bisogna mettere nel conto l’autonoma libertà umana o, come si dice in una Colletta domenicale dell’anno A, il “misterioso intrecciarsi della volontà di Dio e della libera volontà umana”. Come lo stesso Giacomo obietta a Pangloss nel Candide, «Giacomo era d’un altro parere. Bisogna, ei diceva, che gli uomini abbiano alquanto corrotta la natura, perché non son nati lupi, e lupi divengono; Dio non ha dato loro né cannoni da ventiquattro, né bajonette, ed essi son fatti per distruggersi con bajonette e cannoni».Vale quanto osservava Hans Urs von Balthasar: «Chi non impone mai la propria volontà a Dio, può essere sicuro di compiere sempre la Sua volontà».

P. Vincenzo Bertolone S.d.P.

                                                Arcivescovo di Catanzaro Squillace                                    

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