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No all’epoca delle passioni tristi

l-epoca-delle-passioni-tristi-libro-69561.jpgIl momento storico che stiamo vivendo, é forse uno dei più tristi dopo la seconda guerra mondiale. A livello planetario possiamo constatare che l'incertezza del futuro è palpabile in ogni strato sociale, nei meno abbienti é anche molto più sentita. Le guerre in atto in molte parti del globo, che finora non avevano allarmato noi europei, dopo i fatti russo-ucraini hanno scombussolato anche il nostro quotidiano e non solo per l'aumento dei prezzi, per molti inspiegabile, ma anche per quel diffuso senso di smarrimento che spinge a pensare solo al proprio piccolo orticello e a nascondere la testa sotto la sabbia, disinteressandosi di tutto il resto. L'analisi della situazione è stata molto ben stigmatizzata in un articolo apparso recentemente sul "Quotidiano del Sud" firmato da mons. Vincenzo Bertolone, che, pur non vivendo più nella nostra regione è sempre presente tanto che suoi pensieri sono spesso ospitati dall'importante testata giornalistica calabrese. Ve lo offriamo di seguito. Buona Lettura. (La redazione)

«Alle vulnerabilità economiche e sociali strutturali, di lungo periodo, si aggiungono adesso gli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell’ultimo triennio: la pandemia perdurante, la guerra cruenta alle porte dell’Europa, l’alta inflazione, la morsa energetica».

E’ la sintesi del cinquantaseiesimo Rapporto Censis sulla situazione sociale Paese (2022), che parla dell’Italia come una società entrata nel ciclo del post-populismo, con quasi 18 milioni di persone che non sono andate a votare, segno del ritrarsi di buona parte della popolazione di fronte alla cosiddetta nuova età dei rischi. Al cospetto dei numeri, che registrano soltanto gli elementi di fatto su cui poi politici, educatori e chiese dovranno intervenire, ecco le domande principali: quale sarà la profilassi per l’immunizzazione dai pericoli correnti? Come immaginare il futuro in una società in cui tutto può accadere, anche l’indicibile? Come scongiurare possibili scenari di guerra atomica?

Dal punto di vista dei dati, domina l’insicurezza. I rischi globali maggiormente percepiti sono: la guerra, la crisi economica, i virus letali e nuove minacce biologiche alla salute, l’instabilità dei mercati internazionali (dalla scarsità delle materie prime al boom dei prezzi dell’energia), gli eventi atmosferici catastrofici (temperature torride e precipitazioni intense), gli attacchi informatici su vasta scala. Ecco perché risulta che in moltissimi, provino tristezza e malinconia.

È forse giunta l’epoca delle passioni tristi, come aveva teorizzato Baruch Spinoza, il quale, ritenendo che l’essere umano sia anche un animale in cui a farla da padrone è il desiderio, parlava appunto di passioni tristi. In quanto “misurato” dal conatus, ovvero dalla quantità di forza o di energia, che potrebbe diminuire o aumentare, nell’essere umano l’energia diminuisce quando hanno la meglio le passioni tristi, quelle che opprimono (odio, gelosia, ira), anzi deprimono, qualcosa di analogo avevano ripetuto, nel loro libro del 2013, F. Miguel Benasayag (1953) - filosofo e psicanalista di origine argentina, rifugiatosi in Francia dopo l’esperienza della guerriglia guevarista – e Gérard Schmit, psicoanalista e terapeuta della famiglia. Ragionando sulle cause di un apparente massiccio diffondersi delle patologie psichiatriche tra i giovani, essi già constatavano un malessere diffuso, una tristezza che attraversava tutte le fasce sociali, un senso pervasivo d’impotenza e incertezza che avrebbe, appunto, portato moltissimi a rinchiudersi in sé stessi. Segno visibile della crisi della cultura moderna occidentale fondata sulla promessa del futuro come redenzione laica, la fede moderna nel progresso inevitabile sarebbe stata progressivamente sostituita dal futuro cupo, dalla brutalità che identifica la libertà con il dominio di sé, del proprio ambiente, degli altri. La soluzione dei due studiosi era, come si ricorderà, quella della riscoperta della gioia del fare disinteressato, dell'utilità dell'inutile, del piacere di coltivare i propri talenti senza fini immediati. Oggi diremmo, con le parole di Evangelii Gaudium: «Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano» (n. 58).

Intanto, ben 5,6 milioni di persone (il 9,4% della popolazione italiana) sono in condizione di povertà assoluta; i Neet, cioè giovani da 15 a 29 anni, che non studiano e non lavorano sono nel Mezzogiorno al 32,2%; l’onda negativa della dinamica demografica si fa sempre più evidente nella popolazione scolastica (si parla senza mezzi termini di tsunami demografico). Oltre a una perdita netta del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti, desta preoccupazione la situazione dei più giovani, tra i quali il 69,2% ha percepito, dopo la pandemia, ansia e paura, mentre il 49,0% di quelli tra 18 e 36 anni guarda con incertezza al proprio futuro. Dal punto di vista dell’immaginario collettivo, poi, si diffonde la ripulsa verso i privilegi di alcuni, con effetti sideralmente divisivi. Si lamentano, in particolare, il gap esistente tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei manager; le tasse troppo ridotte pagate dai giganti del web; i facili e immeritati guadagni di influencer.

Che fare? Non esistono formule magiche o un’unica ricetta, ma di certo se non si interverrà, specie al Sud a bloccare la fuga in massa dei giovani, qualunque misura futura sarà inutile. Le risposte da pensare dovranno essere a livello politico e di governo della cosa pubblica, senz’altro, in direzione di una modifica dei modelli di sviluppo che non sia fondata (non più o non soltanto, almeno) nell’austerità, nel taglio indiscriminato della spesa pubblica, nella necessità di ripagare un debito pubblico insostenibile che prima o poi, proprio perché tale, andrà rinegoziato. Serve anche altro. Ad esempio, una svolta culturale. E per i cristiani – e probabilmente non solo per loro - si pone l’obbligo di ritornare al Vangelo inteso come la via più liberante, equa, giusta che deve affratellare ricchi e poveri ri-annunciando «la gioia del Vangelo», quella che «riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (EG. n. 1). È la sfida da cogliere per poter giocare con dignità la partita essenziale, quella che già Franklin Delano Roosevelt così teorizzava: «Il vero banco di prova per il nostro progresso non è tanto se riusciamo a far crescere l'abbondanza di coloro che già hanno troppo, ma piuttosto consiste nel cercare di fornire abbastanza a coloro che hanno troppo poco».

p. Vincenzo Bertolone

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