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Perché nulla sia come prima

uguaglianza partecipazione.jpgÈ stato il chimico Vincenzo Balzani a parlare di tre transizioni necessarie imposte dalla nota pandemia, affermando che piuttosto che ritornare alla normalità precedente, bisogna mettersi in una vera e propria logica di transizioni: “Molti dimenticano che la cosiddetta normalità era caratterizzata da altre due crisi: ecologica e sociale. Due crisi certamente non meno gravi di quella sanitaria provocata dal virus che ha causato circa 190 mila morti in Europa e 35 mila in Italia. Cifre che hanno impressionato l’opinione pubblica, almeno quella parte di essa che non sa che l’inquinamento causa in Europa ogni anno circa 650 mila morti. In Italia, le vittime della pandemia, circa 35 mila, sono state meno della metà di quelle, circa 80 mila, causate ogni anno dall’inquinamento”.

Di qui la proposta di rilanciare la green economy, cioè abbandonare i combustibili fossili. In secondo luogo, abbandonare l’obiettivo di crescita del PIL a tutti i costi: “Quindi, non bisogna tornare semplicemente alla crescita, ma ogni volta che qualcuno pronuncia la parola crescita bisogna interrogarsi: è necessaria? E’ possibile? Che conseguenze comporta per la salute del pianeta? Che conseguenze comporta per la società? Se la crescita non rispetta l’ambiente e non riduce le disuguaglianze, che sono i due punti deboli della nostra società, quella crescita non è progresso e quindi non bisogna perseguirla”. Infine, passare dal consumismo alla sobrietà: “Se si vuole realmente consumare meno energia per contribuire alla sostenibilità ecologica e sociale, prima che agire sulle cose. Bisogna partire dal concetto di sufficienza e convincere, sollecitare gentilmente (si veda “La spinta gentile”, di Richard Thaler) e, in casi estremi, obbligare le persone con leggi e sanzioni, a ridurre l’uso non necessario dei servizi energetici”.

Detto altrimenti, perché nulla presenti i difetti di prima, non c’è che guarire da alcune patologie economiche, ecologiche e sociali. Di guarigione ha parlato anche papa Francesco nell’Angelus del 9 Agosto scorso, riprendendo la già utilizzata metafora della Chiesa, afflitta e piagata dalla pandemia globale, come in una barca in tempesta: “La barca in balia della tempesta è immagine della Chiesa, che in ogni epoca incontra venti contrari, a volte prove molto dure: pensiamo a certe lunghe e accanite persecuzioni del secolo scorso, e anche oggi, in alcune parti. In quei frangenti, può avere la tentazione di pensare che Dio l’abbia abbandonata. Ma in realtà è proprio in quei momenti che risplende maggiormente la testimonianza della fede, la testimonianza dell’amore, la testimonianza della speranza. È la presenza di Cristo risorto nella sua Chiesa che dona la grazia della testimonianza fino al martirio, da cui germogliano nuovi cristiani e frutti di riconciliazione e di pace per il mondo intero”. In questo senso, la barca della Chiesa potrebbe riorientare su nuove rotte e verso nuovi lidi la navigazione dell’intera umanità. Certo, come ha riconosciuto il saggista francese Jean-Claude Guillebaud, gli ideali e i valori della Chiesa vivono una situazione di crisi trionfante: “Il cristianesimo contemporaneo conosce uno strano destino: è in crisi mentre i suoi stessi valori trionfano”. Quasi nessuno più ricorda che la transizione verso la modernità, la dignità della persona umana, i diritti fondamentali dell’individuo, la nonviolenza attiva, la solidarietà, la fraternità sono avvenuti non soltanto grazie alle rivoluzioni moderne, ma grazie anche ai valori dell’ebraismo e del cristianesimo che hanno connotato la persona umana, in analogia con le persone trinitarie.

Intraprendere una via controcorrente che non si limiti a frenare, per quanto possibile, il contagio, e a ripristinare uno status quo ante, richiede il coraggio del nuovo e dell’imprevedibile, soprattutto per quanto riguarda le scelte finanziarie ed economiche. Tra l’altro la diffusione mondiale della pandemia ha ricordato che globalizzare l’umanità non necessariamente è sinonimo di progresso e positività. Come ha ricordato sempre il 5 agosto scorso il Santo Padre, “la pandemia sta continuando a causare ferite profonde, smascherando le nostre vulnerabilità. Molti sono i defunti, moltissimi i malati, in tutti i continenti. Tante persone e tante famiglie vivono un tempo di incertezza, a causa dei problemi socio-economici, che colpiscono specialmente i più poveri”.

La Chiesa non può non domandarsi, nonostante la crisi trionfante degli ex valori cristiani: “E allora ci chiediamo: in che modo possiamo aiutare a guarire il nostro mondo, oggi? Come discepoli del Signore Gesù, che è medico delle anime e dei corpi, siamo chiamati a continuare «la sua opera di guarigione e di salvezza» (CCC, 1421) in senso fisico, sociale e spirituale”. Se come malattia, la pandemia attende terapie che guariscano il fisico e facciano almeno regredire l’aggressività del coronavirus, come malattia sociale, finanziaria ed economica, chiede un’opera di guarigione valoriale che orienti la transizione al futuro, non più al passato. “Ognuno crede a le raggioni sue:/ - disse er Camaleonte - come fai?/ Io cambio sempre/ e tu nun cambi mai:/ credo che se sbajamo tutt’e due”. Così diceva il camaleonte al rospo nella poesia Er carattere di Trilussa (1871-1950). Tra il cambiare a tutti i costi e il non cambiare affatto, bisogna trovare un qualche equilibrio, a cui il pensiero cristiano potrà e dovrà dare il proprio apporto.

 + P. Vincenzo Bertolone S.d.P.

Arcivescovo di Catanzaro Squillace

(L'articolo è stato pubblicato ieri 6 Settembre nell'edizione di Catanzaro del Quotidiano di Calabria)

(Immagine in alto tratta dal sito della Federazione internazionale dei lavoratori sociali www.ifsw.org)

 

 

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