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Paroloni e paroline. Oggi vi presento l'ANACRUSI

anacrusico-01.pngQuella di oggi è una parolona che mi ha colpito particolarmente per il suono duro che ha quando la si pronuncia, mi ha fatto venire in mente certi termini della lingua tedesca secchi, quasi brutali, che poi, però, hanno un significato tutt'altro che sgradevole. l'Anacrusi, per gli specialisti di musica non dovrebbe rappresentare un mistero, ma pare che anche fra loro ci sia qualcuno che non la conosce affatto, chissà forse non gli è mai stata presentata ufficialmente. Scusate la battutaccia, ora, però, è tempo di fare le presentazioni, e di seguito ecco cosa ho trovato sul web. (Tonino)

ANACRUSI. In musica, esordio tematico che si realizza ritmicamente su un tempo debole precedente il primo tempo forte all’inizio di una composizione; può prodursi anche all’interno di un brano o di una sua sezione. In poesia, parte extra-metrica del verso, formata da una o più sillabe atone precedenti la prima sillaba accentata

ETIMOLOGIAprestito moderno dal greco antico anákrusis, formato da anakrúo ‘tirare indietro, trattenere’, derivato da krúo ‘battere’ col prefisso ana- ‘verso su’

Uno dei campi più enigmatici e affascinanti della poesia e della musica greco-latina è la comprensione dei loro fondamenti ritmici. L’impossibilità di verificare le esperienze originarie di quel mondo scomparso, la precarietà della documentazione superstite, le difficoltà nell’interpretarla, si presentano come ostacoli talvolta insuperabili.

Una teoria tuttora accreditata sostiene che musica, poesia e danza costituissero inizialmente una realtà unitaria, che avrebbe generato un primo strato terminologico comprendente lemmi quali: pús, podós, piede, che assumeva valenza di cellula ritmica di base; tesi (in latino positio), che si riferiva all’atto di appoggiare il piede per terra; arsi (in latino eleuatio), che indicava l’azione di sollevare il piede.

Nelle fonti antiche si trovano alcune attestazioni del termine anacrusi relative all’arte dei suoni, anche se con significato diverso da quello attuale. Gianni Guastella riferisce che il grande storico e geografo Strabone descrisse l’istituzione delle Pitiche, gare musicali in onore di Apollo Pizio (che comprendevano manifestazioni poetiche, ginniche e ippiche) culminanti nel nomos pitico. Si trattava di una composizione in cui la prima parte era detta proprio anacrusis, parola che gli studiosi hanno interpretato in quel contesto come intonazione o preludio. Tuttavia, il termine aveva significati variegati; potendo indicare ‘tirare indietro’ designava, per esempio, anche il morso del cavallo.

Dal periodo barocco in poi, in musica, ogni sequenza ritmica è stata considerata come il succedersi di tempi forti e tempi deboli, corrispondenti al gesto di abbassare e sollevare i piedi o le mani, preparando la strada alle nozioni moderne di battere e levare. Forse qualcuno ricorda le prime estenuanti lezioni di solfeggio, dove la mano svolazzava in 2/4 mentre si declamava un noioso «Do-o» (‘Do’ è in battere, ‘o’ in levare). Arsi e tesi, invece, non contenevano propriamente un concetto di accentuazione forte o accentuazione debole, come avviene nella scansione ritmica moderna.

L’accezione attuale di anacrusi fu messa a punto a Lipsia nel 1816 dal filologo Gottfried Hermann nei suoi Elementa doctrinae metricae, lasciando intendere un disegno ritmico che inizi in levare. Come tanti filologi della sua epoca, Hermann ricorse alla terminologia arcaizzante greca, ricercando nessi storico-culturali tra la classicità e il mondo a lui contemporaneo, conciliando la metrica classica con l’organizzazione della scrittura musicale, che era andata definendosi nelle misure di battuta moderne. Ravvisò dunque nel greco anacrusis l’antenato illustre che poteva rendere il termine tedesco della sua epoca, ancora oggi attuale, Auftakt (auf significa ‘sopra, in su’ e takt ‘battuta’). La sua teoria fu in seguito criticata, poiché presentava vizi interpretativi, ma la parola rimase.

Nella pratica, oggi può dirsi anacrusi l’anticipazione, lo slancio che precede immediatamente l’impulso più forte, successivo. Può consistere in una o più note, come nell’esordio del Rondò beethoveniano della Patetica.

Gli incipit musicali possono essere classificati in tre tipi. Oltre all’attacco anacrusico di cui stiamo trattando, si parla di incipit tetico (da thésis ‘posizione, collocazione’), che inizia immediatamente sul tempo forte. Un altro attacco è quello acefalo (da kephal ‘testa’ con alfa privativo, ossia privo della testa), a cui manca il tempo forte iniziale.

Forse la composizione più conosciuta dell’orbe terracqueo è il Te Deum di Marc-Antoine Charpentier, che apre i collegamenti in eurovisione e in mondovisione. La prima nota è anacrusica e, se si prosegue l’ascolto, si troveranno anche incipit tetici e acefali. Dunque, siamo in presenza di una parola all’apparenza ostica, ma concettualmente diffusissima in musica.

Comunque, alla fine sia la parola che il concetto riformulato furono esportati in tutto l’Occidente; in Italia il termine fece capolino negli ultimi decenni dell’Ottocento.

Certo, il suo impiego lessicale è limitatissimo, perfino tra gli specialisti… ma si può andare con un amico a un concerto, sfoderando l’impeccabile capacità di riconoscere un attacco anacrusico: il figurone è assicurato!

Antonella Nigro

Antonella Nigro é diplomata in Canto e laureata in Musicologia. Svolge un’intensa attività di studio e di ricerca; ha pubblicato articoli e testi specialistici sulla musica italiana del Rinascimento e del primo periodo barocco. Coltiva con entusiasmo anche pittura, filosofia, sport e cucina.

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