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I Verbi: Maledizione di Molti

se potrei.jpgSe ce l’avessero spiegata così la grammatica italiana, sarebbe stato tutto più facile e avremmo meno studenti “semi-analfabeti”. La prof.ssa Mariangela Vaglio - Il Mondo di Galatea – ha scritto questi brevi e simpatici suggerimenti che “L’Espresso” ha pubblicato e che noi vi rimpalliamo, siamo sicuri che vi piaceranno.

'Se potrei' e altri orrori: come si usano i verbi

Oh davvero, il verbo è tutto. Volete fare una frase? Ci vuole un verbo. Voi mi direte: “No, guarda, ci stanno pure le frasi senza verbo." Il che è vero, ma poi vedremo che magari un verbo, in qualche modo, ce l'hanno pure loro.

Quindi, il verbo, dicevamo.

Il verbo, nella frase, fa tutto. Senza, è come fare un aperitivo senza le patatine: si può ma non è granché.

Il verbo è fondamentale perché dice tutto: racconta infatti l'azione. Se non c'è una azione, reale, immaginata, sperata, attesa, pensata, auspicata non succede niente, e non se non succede niente non si racconta, né si fanno frasi. Quindi il verbo è il nostro caposaldo.

I verbi, lo sappiamo tutti, hanno i tempi e i modi e le persone. A scuola, quando ce li fanno coniugare pensiamo tutti: “Eccheppalle!". In effetti coniugare i verbi è operazione noiosissima. Il problema è che per spiegare come succedono le cose è necessario usare i verbi in maniera corretta.

Il modo del verbo, per esempio, ci spiega l'azione: è una cosa reale? E' una cosa immaginaria? La differenza è notevole.

Io, per esempio, se adesso ho fame mangio una mela. Perché ce l'ho. Se non ce l'avessi, al massimo potrei dire che mangerei volentieri una mela, ma resto a bocca asciutta. Quindi, capite bene, comprendere il modo del verbo è importante, se non altro per capire se digiunerò o no.

Quando una cosa accade nella realtà il modo da usare è l'indicativo. Io mangio una mela, io incontrai Elena al mercato, io vedrò domani la partita allo stadio. Sul serio, queste cose le faccio, le ho fatte o le farò davvero.

Se invece io non sono certa che una cosa sia accaduta davvero, ma lo penso o me lo auguro, si usa il congiuntivo.

Io penso che tu sia buono (lo penso, e magari pure lo spero, ma non ne sono certo, potresti essere una carogna).
Magari piovesse! (ma non è detto che piova).
Credo che fosse Luigi quello che ho visto ieri sera per strada (ma magari no, era Carlo, o un tizio qualsiasi, perché non l'ho visto bene e sono pure cecata di mio).

Se l'azione invece può accadere solo a patto che si verifichi una qualche altra condizione, si usa il condizionale (i grammatici hanno una fantasia limitata nello scegliere i nomi, come si nota).

Se avessi una mela (condizione)-> me la mangerei (azione)

Se invece do un ordine, allora si usa l'imperativo (ve l'ho detto, non hanno una gran fantasia con i nomi), e per essere sicuro che si capisca che è un ordine, l'imperativo di solito viene usato con un bel punto esclamativo dopo:

Portami una mela!

Il verbo, in analisi logica, si chiama "predicato" perché racconta quello che succede. È predicato verbale se racconta una azione, è predicato nominale se invece descrive una qualità del soggetto, ed in quel caso è formato dal verbo essere più una parte nominale, che può essere un aggettivo o un nome.

Luca mangia -> predicato verbale (racconta una azione)
Luca è alto/ è un professore -> predicato nominale, racconta una caratteristica o una qualità di Luca.

Ora, se scrivete una frase, mettetecelo, il verbo. Le frasi senza verbo un po' sono zoppicanti e si sentono molto sole. Non fatele bullizzare dai periodi pieni di verbi e di subordinate, che si sentono superiori.
I verbi raccontano il mondo. Del resto anche il Vangelo di Giovanni comincia dicendo che in principio era il Verbo.
Il che dimostra che Giovanni forse aveva anche le visioni, ma comunque sapeva bene come si raccontano le storie e aveva capito tutto della grammatica.

Mariangela Galatea Vaglio

fonte: L'Espresso

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