A proposito delle continue e note diatribe tra politica e magistratura ho chiesto un parere all’amico avvocato Bordino, che prontamente ha aderito all’invito ed ha fatto pervenire in redazione la nota che segue. Come il suo solito ha inquadrato il problema partendo da esempi letterari (citazione di Montesquieu) e prendendo spunto dalla cronaca (sindaco di Pizzo), mi sarebbe piaciuto un commento sulla questione della ministra del turismo che strafottendosene di qualsivoglia comportamento in linea con l’etica e la morale se ne sta tranquillamente sul suo scranno. Ma ringraziandolo per la disponibilità, accontentiamoci per il momento della sua alata dissertazione riservando il problema santancheniano ad un prossimo futuro. (Antonio M. Cavallaro)
La recente decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di risarcimento del c.d. danno morale - che non oso commentare se non con l’aforisma giuridico summum ius summa iniuria, con cui si vuol dire che l’uso rigoroso e indiscriminato di un diritto o l’applicazione rigida di una norma può diventare un’ingiustizia - ha dato luogo, more solito, ad un’altra inutile diatriba tra il potere esecutivo e quello giudiziario.
Le reazioni scomposte dei rappresentanti del potere esecutivo (pagano i cittadini, si sottraggono risorse, è una vergogna, ecc.) si commentano da sé.
Seppur più elegante, sembra banale anche la risposta della Prima Presidente della Suprema Corte, soprattutto chiosando che gli insulti “mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo stato di diritto”.
Quest'ultima vicenda, infatti altro non è se non l’ennesimo segnale della crisi dello stato di diritto che a mio avviso trova la genesi nella legge costituzionale che ha modificato l’art. 68 della costituzione in quella furia iconoclasta che fu la stagione c.d. di mani pulite.
Da allora si assiste ad una specie di metamorfosi della ragion di stato, non più a tutela della gestione del potere in senso lato, ma a tutela di uno dei poteri dello stato, ossia della magistratura che è diventata potere di riferimento.
Essendo infatti saltato quello che era l’unico bilanciamento al potere della magistratura, ossia l’autorizzazione a procedere da parte degli organi rappresentativi, allora sì che è venuta meno la separazione dei poteri, con l’assunzione del potere da parte di qualcuno nei confronti di tutti gli altri.
La magistratura oramai si atteggia infatti come un vero e proprio contro-potere che insorge puntualmente contro ogni riforma ad essa sgradita contro l’esecutivo e infine contro il parlamento che si accinge ad approvare una non più procrastinabile riforma della giustizia o del c.d. Sistema Palamara che dir si voglia.
Su tale evidente invasione di campo la Prima Presidente non trova niente da ridire come neanche davanti ad una recente manifestazione sindacale dei suoi colleghi con quello che una volta era il paramento sacrale della toga: “La giustizia non può non disvelarsi… Prima il giudice può arrovellarsi, ma nel momento in cui celebra, non più” (Leonardo Sciascia, Il Contesto, 1971).
Come non trova niente da ridire sugli innumerevoli casi di malagiustizia: recentissima la conclusione della triste vicenda di un astro nascente della politica calabrese: l’ex sindaco di Pizzo Calabro, Gianluca Callipo, incarcerato ingiustamente ed infine assolto, ed anzi anche definitivamente, perché a fronte di una richiesta di condanna a 18 anni di carcere, non è stato neanche proposto appello (sic!).
Ma come suol dirsi: chi è causa del suo mal pianga se stesso, con la riforma dell’art. 68 della costituzione - che serviva a mantenere separati potere politico, potere amministrativo e potere giudiziario - il potere politico si è auto condannato all’irrilevanza.
Tutti i poteri del parlamento sono finiti per un verso nelle mani del potere esecutivo in particolare con l’abuso della decretazione d’urgenza e la loro approvazione il più delle volte con un maxi emendamento.
Tra i vari pesi e contrappesi previsti dalla costituzione vi è la c.d. riserva di legge, che non è una mera formula di stile, ma il riservare al parlamento determinate decisioni attraverso il procedimento formale della legge, oramai bypassato.
Al tempo stesso, quella riforma ha esposto la magistratura al di sopra di tutto e di tutti, come una sorta di garante della virtù, trasformando il processo penale da strumento di accertamento delle singole responsabilità in relazione ad un fatto specifico a strumento di tutela sociale per cui la nobiltà del fine giustifica la sommarietà dei mezzi.
Dunque, non più applicazione delle norme ma interpretazione delle norme in funzione dell’assetto che ideologicamente viene scelto di volta in volta per soddisfare un popolo abituato a sopportare tutti gli abusi in silenzio e, nel contempo, a riconoscersi nelle tricoteuse che sferruzzano sotto la ghigliottina in attesa di vedere cadere le teste nel paniere.
Per cui, oltre alla separazione delle carriere (a mio avviso fin dal concorso e non dopo) ed alla modifica del Sistema Palamara, per ripristinare una vera cultura della legalità occorre intanto ripristinare l’immunità parlamentare.
Avv. Bernardo Bordino
fine giurista