Un uomo, che viveva presso uno stagno, una notte fu svegliato da un gran rumore. Uscì allora nel buio e si diresse verso lo stagno ma, nell’oscurità, correndo in su e in giù, a destra e a manca, guidato solo dal rumore, cadde e inciampò più volte, finché trovò una falla sull’argine da cui uscivano acqua e pesci. Si mise subito al lavoro per tapparla e, solo quando ebbe finito, se ne tornò a letto. La mattina dopo, affacciandosi alla finestra, vide con sorpresa che le orme dei suoi passi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna.
“Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna?”, si chiede Karen Blixen dopo aver pensato a questa storia che le era stata raccontata quando era bambina.
Il percorso di ogni vita ha una forma che possa essere riprodotta graficamente?
Quanti di noi avranno la fortuna di vedere il disegno della propria vita? Eppure questo disegno noi lo andiamo componendo con il nostro modo di stare al mondo, al di là delle nostre intenzioni, al pari di quel povero uomo che ha lasciato un disegno, non progettato mentre era affannato a rimediare ad un disastro.
Tutti abbiamo cura di voler essere, di voler apparire come pensiamo giusto di essere, ma spesso chi siamo sfugge a questo nostro controllo; ci sono parti di noi che reclamano di essere viste e che si rivelano a nostra insaputa, e sono proprio queste parti che compongono il disegno; sono le tracce che compongono la nostra storia, che è un risultato che non è conseguenza di alcun progetto, un po’ come la scienza economica e la filosofia che, come la hegeliana nottola di Minerva, volano al tramonto a spiegarci quel che è successo di giorno. Come l’uomo del racconto, andiamo in su e in giù a tappare falle, a rispondere agli eventi della vita, ma non vi scorgiamo disegno alcuno, da qui il racconto che risponde alla domanda di senso. E come sapeva bene Karen Blixen persino “I dolori sono sopportabili se li si inserisce in una storia o si racconta una storia su di essi”. E Hannah Arendt aggiunge: ”la storia rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi”.
Il premio Nobel per la Letteratura, in un dialogo con la psicoterapeuta Arabella Kurtz, arriva a sostenere che la scrittura non si limita a riprodurre ciò che conosciamo ma ci aiuta a far emergere ciò che non sappiamo, quindi non solo strumento di riproduzione ma di conoscenza.
Con la scrittura di sé si può rintracciare la nostra seconda nascita, quella che ci siamo procurato noi dopo quella biologica di cui ci hanno fatto dono i nostri genitori e, se siamo fortunati, intravedere il disegno della nostra vita.
Giuseppe Costantino