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Perché sperare insieme dopo il viaggio papale in Mongolia

papa-francesco-mongolia-1200.jpgIl gran Kahn e il deserto di Lop. «Lop è una grande città ch’è a l’intrata del grande diserto… E’ sono al Grande Cane e adorano Macomet. E quelli che vogliono passare lo diserto si riposano in Lop una settimana, per rinfrescare loro e loro bestie» (da Il Milione di Marco Polo, Adelphi 1975).

È questo il famoso esordio del capitolo 56 de Il milione, che evoca il gran Kahn Gengis e la fede musulmana a quel tempo prevalente. In quelle pagine incontriamo il racconto reale e, insieme, fantastico, dell’occidentale Marco Polo che, con suo padre Niccolò e il di lui fratello Matteo, si avventurarono tra i primi alla volta di territori inesplorati e desertici, abitati da bestie e antropofagi.

Un nuovo itinerario apostolico e culturale. Che il viaggio di papa Francesco in questi medesimi luoghi non sia stato soltanto un’occasione per ricordare il centenario imminente della scomparsa di Marco Polo (l'8 gennaio 2024 saranno 700 anni dalla morte), né un itinerario soltanto esotico e letterario, bensì per incontrare la minoranza cattolica che vive in mezzo a una popolazione oggi per lo più di fede buddista, si ricava subito dal motto prescelto per il pellegrinaggio – Sperare insieme. «Andare in Mongolia – ha detto non a caso ai giornalisti il Santo Padre sull’aereo che lo portava a Ulan Bator - è andare presso un popolo piccolo in una terra grande. La Mongolia sembra non finire e gli abitanti sono pochi, un popolo piccolo di grande cultura». D’altra parte, i veri intenti della visita papale si ricavano soprattutto dallo svolgimento del programma e dai suoi contenuti. Citando varie volte le cosiddette ger, il Papa ha osservato: «Le ger sono spazi abitativi che oggi si potrebbero definire smart e green, in quanto versatili, multi-funzionali e a impatto-zero sull’ambiente. Le ger, presenti nelle zone rurali così come nei centri urbanizzati, testimoniano inoltre il prezioso connubio tra tradizione e modernità».

Ancora, a conclusione della Messa presieduta domenica 3 settembre nella Steppe Arena, ringraziando per i saluti porti, il Papa ha voluto citare il gesuita Pierre Theilard de Cardin (+ 10.4.1955), paleontologo e teologo, autore, tra l’altro, de La messa sul mondo (tratta dal libro Inno dell’universo), che a suo tempo fu tradotta da Salvatore Quasimodo (Milano, Edizioni di Vanni Scheiwiller, 1999). Del resto, già la Laudato sì aveva citato lo scienziato gesuita come teorico del cammino, non soltanto umano, ma dell’intero universo verso Dio. Così papa Francesco nel Ringraziamento dopo l’eucaristia: «Preghiamo, dunque, oggi con le parole di padre Teilhard: “Verbo sfavillante, Potenza ardente, o Tu che plasmi il molteplice per infondergli la tua Vita, abbassa su di noi, Te ne supplico, le tue Mani potenti, le tue Mani premurose, le tue Mani onnipresenti”».

Una mistica “infuocata” della sussistenza cosmica. «La Messa è azione di grazie, “Eucaristia”. Celebrarla in questa terra mi ha fatto ricordare la preghiera del padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin, elevata a Dio esattamente 100 anni fa, nel deserto di Ordos, non molto lontano da qui». Così aveva testualmente pregato Teilhard, come ora leggiamo nelle sue opere postume: «Tutti noi siamo irrimediabilmente in Te, Mezzo universale di consistenza e di vita! – ma, giustamente, perché noi non siamo cose semplicemente fatte, che possono venire concepite indifferentemente come vicine o distanti da Te». Sono soltanto alcune tra le battute intense di Teilhard, scritte a Ordos nel 1923, proprio nelle steppe dell’Asia, dove non aveva pane e vino per celebrare.

Sperare insieme. Visita pastorale e visita di stato hanno avuto mirabile sintesi nella speranza, concretizzatasi in una casa della misericordia, pegno ed emblema della carità che muove e anima la presenza e la vita della piccola comunità cattolica in terra mongola. È la casa in cui le fedi mediterranee e le altre religioni locali potranno sperare insieme, offrendo un segno di pace ed armonia ad un mondo perennemente in guerra.

                      p. Vincenzo Bertolone SdP

                Arcivescovo emerito di Catanzaro Squillace                                    

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